le prestazioni rese dai medici incaricati presso gli istituti di prevenzione e pena, non integrano un rapporto di pubblico impiego, bensì una prestazione d’opera professionale caratterizzata dagli elementi tipici della parasubordinazione.

Trattasi di rapporto libero-professionale del tutto peculiare. Ai sanitari incaricati non sono applicabili le norme relative alla incompatibilità e al cumulo di impieghi né alcuna altra norma concernente gli impiegati civili dello Stato.

A tutti i medici che svolgono, a qualsiasi titolo, attività nell’ambito degli istituti penitenziari non sono applicabili altresì le incompatibilità e le limitazioni previste dai contratti e dalle convenzioni con il Servizio sanitario nazionale.

Cassazione Civile – Sez. Lavoro; Sent. n. 17092 del 21.07.2010

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 417 del 2004 il Giudice del lavoro del Tribunale di Teramo riconosceva al Dott. M.  F. , medico incaricato

presso la Casa Circondariale di Teramo, il diritto all’indennità integrativa speciale ed alla tredicesima mensilità, pur se svolgeva contemporaneamente attività di dirigente medico presso la ASL di

Teramo.

In particolare il giudice accoglieva la domanda sul presupposto che il medico incaricato, in tale veste, non era un lavoratore subordinato (qualificabile come pubblico impiegato) e, pertanto, per lui non valevano le norme relative alla incompatibilità e al cumulo di impieghi, ne’ alcun’altra norma relativa agli impiegati dello Stato.

Il Ministero della Giustizia, con ricorso dell’8-7-2004, proponeva appello avverso la detta sentenza deducendo che il rinvio fatto dalla L. n. 740 del 1970, art. 39, alla L. n. 324 del 1959, art. 1, relativo all’indennità integrativa speciale, andava inteso in senso globale, riguardante, cioè, anche il 4 comma del predetto articolo, che prevedeva la possibilità di corresponsione dell’indennità una sola volta.

Lo stesso ragionamento, secondo l’appellante, valeva per la tredicesima mensilità, prevista dal D.Lgs. C.P.S. n. 263 del 1946, testo ugualmente richiamato dalla L. n. 740 del 1970, art. 39, sui medici incaricati.

Il F.  si costituiva e resisteva al gravame.

La Corte d’Appello di L’Aquila, con sentenza depositata il 6-4-2006, rigettava l’appello e condannava l’appellante al pagamento delle spese.

In sintesi la Corte territoriale riteneva la inapplicabilità, nella fattispecie, del divieto di cumulo previsto per i dipendenti dello Stato, rilevando che “per i medici incaricati la L. del 1970, art. 2

(n. 740) sancisce che nei loro confronti “non sono applicabili le norme relative alla incompatibilità e al cumulo di impieghi, ne’ alcuna altra norma concernente gli impiegati civili dello Stato, per cui, il Dott. F. , “dipendente pubblico, ma non dello Stato, la cui attività come medico incaricato delle carceri si colloca nell’ambito di una prestazione professionale, caratterizzata dagli elementi tipici della parasubordinazione, ha diritto ad entrambi gli emolumenti per cui è causa”.

Per la cassazione di tale sentenza il Ministero della Giustizia ha proposto ricorso con un unico motivo, corredato dal relativo quesito di diritto ex art. 3666 bis c.p.c., applicabile nella fattispecie ratione temporis.

Il Dott. F.  ha resistito con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente il ricorso va dichiarato inammissibile per quanto riguarda la tredicesima per mancanza del relativo quesito ex art. 366 bis c.p.c..

Il ricorrente, infatti, ha formulato il quesito di diritto con riferimento soltanto alla indennità integrativa speciale e senza alcun accenno alla tredicesima (“se ai sensi e per gli effetti della L. n. 740 del 1970, artt. 2 e 39 e della L. n. 325 del 1959, art. 1, comma 4, sia dovuta la indennità integrativa speciale, nella ipotesi in cui il lavoratore percepisca la già detta indennità per altra attività lavorativa”).

Il ricorso va poi accolto per quanto riguarda la indennità integrativa speciale.

Come questa Corte ha ripetutamente affermato “le prestazioni rese, secondo le modalità previste dalla L. n. 740 del 1970, dai medici incaricati presso gli istituti di prevenzione e pena, non integrano un rapporto di pubblico impiego, bensì una prestazione d’opera professionale caratterizzata dagli elementi tipici della parasubordinazione, e pertanto le controversie relative sono devolute alla cognizione del giudice ordinario, a nulla rilevando l’eventuale intervento di un atto amministrativo, non essendo il giudice ordinario chiamato a giudicare in ordine alla legittimità dell’atto, bensì in ordine ai diritti derivanti dal rapporto di prestazione d’opera, così come disciplinato dalla legge” (v. Cass. S.U. 17-12- 1998 n. 12618, Cass. 20-5-2003 n. 7901).

Trattasi, però, di rapporto libero-professionale parasubordinato del tutto peculiare, che trova la sua fonte normativa unicamente nel complesso delle disposizioni contenute nella L. n. 740 del 1970 e successive modificazioni e integrazioni le quali si pongono come norme speciali che lo disciplinano interamente.

Al riguardo l’art. 2 della citata legge stabilisce chiaramente che “Le prestazioni professionali rese in conseguenza del conferimento dell’incarico sono disciplinate dalle norme della presente legge. Ai medici incaricati non sono applicabili le norme relative alla incompatibilità e al cumulo di impieghi ne’ alcuna altra norma concernente gli impiegati civili dello Stato.

A tutti i medici che svolgono, a qualsiasi titolo, attività nell’ambito degli istituti penitenziari non sono applicabili altresì le incompatibilità e le limitazioni previste dai contratti e dalle convenzioni con il Servizio sanitario nazionale (quest’ultimo comma è stato aggiunto dal D.L. n. 187 del 1993, art. 6, nel testo modificato dalla relativa legge di conversione)”.

La inapplicabilità delle norme relative alla incompatibilità ed alle limitazioni dell’incarico, come pure è stato precisato da questa Corte, è fondata sulla “particolare penosità del servizio prestato dai sanitari addetti agli istituti penitenziari”, la quale, però, non giustifica che all’effettivo godimento di questo beneficio (svolgimento di altro incarico, incompatibile per altri) si riconoscano benefici aggiuntivi, in ordine a specifici aspetti economici, condizioni e limiti di godimento di singole indennità (cfr. Cass. 19-4-2006 n. 9046, con riferimento alla “indennità di piena disponibilità”).

Orbene la L. n. 740 del 1970, art. 39, nel disciplinare le indennità spettanti, stabilisce che: “ai medici incaricati sono attribuiti, nei

limiti previsti dalle sotto indicate disposizioni: 1) la indennità integrativa speciale, di cui alla L. 27 maggio 1959, n. 324, art. 1 e successive modificazioni; …”).

È evidente che la norma speciale, nel l’attribuire la detta indennità richiama specificamente anche i “limiti previsti” dalla norma richiamata, ed in specie quello fissato dalla citata L. n. 324 del 1959, art. 1, comma 4 (“L’indennità integrativa speciale compete ad un solo titolo, con opzione per la misura più favorevole nei casi di consentito cumulo di impieghi”). Detto limite è quindi applicabile ai medici incaricati presso gli istituti di prevenzione e

di pena proprio in virtù della norma speciale e dell’evidenziato espresso richiamo, che, in sostanza, si pone come deroga rispetto al criterio generale fissato dall’art. 2 della citata legge. Va pertanto enunciato il seguente principio di diritto ex art. 384 c.p.c.: “ai sensi della L. n. 740 del 1970, art. 39, la indennità integrativa speciale, spettante ai medici incaricati presso gli

istituti di prevenzione e di pena, è soggetta ai limiti previsti nella L. n. 324 del 1959, art. 1, in quanto richiamati nello stesso art. 39, con la conseguenza che la detta indennità compete ad un solo titolo, con opzione per la misura più favorevole”. La impugnata sentenza va così cassata in relazione alla censura accolta e la causa va rinviata alla Corte di Appello di Ancona, che si atterrà al detto principio e statuirà anche sulle spese.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso per quanto riguarda la tredicesima mensilità, lo accoglie per quanto riguarda la indennità integrativa speciale, cassa la impugnata sentenza in relazione alla censura accolta e rinvia alla Corte di Appello di Ancona, anche per le spese.

Così deciso in Roma, il 9 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2010