L’omissione da parte del Ministero di attività funzionali alla realizzazione dello scopo per il quale l’ordinamento attribuisce il potere(tutela della salute pubblica) lo espone a responsabilità extracontrattuale quando, dalla violazione del vincolo interno costituito dal dovere di vigilanza nell’interesse pubblico, il quale è strumentale ed accessorio a quel potere, siano derivate violazioni dei diritti soggetti vidi terzi.

E’ ammissibile la  domanda risarcitoria indipendentemente dal diritto all’indennizzo previsto dalla legge n.210/ 92, in considerazione della diversa natura dei due emolumenti. Invero la possibilità di cumulare le due diverse forme di tutela si fonda sulla considerazione che la corresponsione dell’indennità non ha funzione risarcitoria, ma puramente assistenziale, costituendo una misura economica solamente aggiuntiva, riconducibile alle prestazioni poste a carico dello Stato in ragione del dovere di solidarietà sociale. 

Tribunale  Salerno  sez. II

22 giugno 2010

sentenza  n. 1502

FATTO E DIRITTO

Con atto di citazione notificato a mezzo del servizio postale in data 13.9.2003, M.T. e F.S., in proprio e quali genitori esercenti la potestà sulla minore F.C., premesso che: in data 17.2.1998 M.T., al secondo mese di gravidanza, nel corso di accertamenti preparto, effettuava l’esame per la determinazione dell’anticorpo dell’epatite C, l’esame dell’antigene dell’epatite B e l’esame per la ricerca degli anticorpi anti HIV., tutti con esito negativo; nel giugno del 1998 M.T., al settimo mese di gravidanza, veniva ricoverata presso l’Ospedale “Umberto 1” di Nocera Inferiore per contrazioni uterine e dimessa con minaccia di parto pre-termine e con esami ematici che confermavano l’assenza di una epatopatia; in data 19.9.1998, alla trentottesima settimana di gravidanza, la predetta veniva ricoverata d’urgenza all’Ospedale “Mauro Scarlato” di Scafati (Sa) ove veniva sottoposta a taglio cesareo con trasfusioni di sangue e plasma derivati; immediatamente dopo il parto, si rendeva necessario effettuare un intervento di isterectomia con trasfusioni di sangue con sacche provenienti dal centro Trasfusionale degli OO.RR. di Salerno; indi, la paziente veniva ricoverata in sala rianimazione ove veniva sottoposta a ripetute trasfusioni di sangue; in data 23.1.1999, 23.2.1999 e 8.3.1999 M.T. si ricoverava presso l’Ospedale Cardarelli di Napoli per una stenosi della trachea distorta a causa dell’intubazione effettuata presso l’Ospedale “Mauro Scarlato” di Scafati e, a seguito di analisi del sangue, veniva riscontrato che la paziente aveva contratto l’epatite virale HCV post-trasfusionale; in data 13.3.1999 veniva sporta denuncia querela nei confronti dei legali rappresentanti dei presidi ospedalieri e dei sanitari che l’avevano tenuta in cura e si instaurava proc. pen. n. 4204/99/44 presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Nocera Inferiore; era evidente che il contagio era stato causato dalle numerose trasfusioni ematiche subite da M.T. nel Corso del ricovero del 19.9.1998 presso l’Ospedale di Scafati; sussisteva la responsabilità, per comportamento omissivo del Ministero della Sanità e dell’ Asl Salerno 1, alla quale apparteneva l’Ospedale Mauro Scarlato di Scafati per inosservanza dei doveri di sorveglianza e vigilanza in materia sanitaria con riferimento alla produzione, commercializzazione, distribuzione e somministrazione dei derivati del sangue, ai sensi degli artt. 2043, 2049 e 2050 ce; tutto ciò premesso M.T. e F.S., in proprio e quali genitori esercenti la potestà sulla minore F.C. citavano in giudizio il Ministero della Sanità/Salute e l’ ASL Salerno 1 per sentirli condannare, in solido o chi di ragione, al risarcimento di tutti i danni subiti, quantificati in euro 250.000,00 per M.T. ed euro 100.000,00 ciascuno per il coniuge e la minore convivente, vinte le spese con attribuzione al procuratore antistatario.

Si costituiva in giudizio il Ministero della Salute mediante deposito di comparsa di costituzione e risposta, nella quale eccepiva l’inammissibilità e l’infondatezza della domanda, deducendo che: il Ministero era privo di legittimazione passiva in quanto l’eventuale responsabilità andava addebitata ai centri trasfusionali che facevano capo alle Aziende Ospedaliere; il Ministero era tenuto unicamente alla concessione dell’indennizzo di cui alla legge 210/92 misura di solidarietà; non sussisteva l’ingiustizia del danno ai sensi dell’articolo 2043 cc; il quantum della pretesa azionata, infine, era carente di supporto probatorio; concludeva per la declaratoria di inammissibilità ed infondatezza della domanda.

Si costituiva in giudizio l’Azienda Sanitaria Locale Salerno 1 che contestava la domanda e ne chiedeva il rigetto, deducendo che: durante il ricovero di M.T. le trasfusioni si erano rese necessarie per l’imminente pericolo di vita della paziente ed erano state effettuate con tecniche di assoluta garanzia; non era provato il nesso causale tra le trasfusioni ed il contagio del virus; chiedeva, comunque, di chiamare in causa le SOCIETà REALE MUTUA ASSICURAZIONI: in persona del legale rappresentante pt, SOCIETà NUOVA TIRRENA SPA in persona del legale rappresentante pt. SOCIETà LLOYD ADRIATICO SPA, in persona del legale rappresentante pt, SOCIETà FONDIARIA-SAI SPA, in persona del legale rappresentante pt, SOCIETà CATTOLICA DI ASSICURAZIONI, presso le quali era assicurata con polizza di responsabilità verso i terzi n 748/03/761 stipulata in data 1.08.1997, per essere manlevata in caso di soccombenza.

A seguito della notifica degli atti di chiamata in causa, si costituivano in giudizio le predette compagnie assicurative mediante deposito di comparsa di costituzione e risposta, nella quale impugnavano la domanda di garanzia e quella attorea, deducendo che: l’assicurato aveva denunziato il sinistro solo in data 22.9.2003, pur avendo ricevuto la richiesta risarcitoria in data 17.10.2002, così violando gli arti 1913,1914 e 1915 ce; il maggior danno e pregiudizio (interessi, svalutazione, spese processuali), pertanto, doveva essere sopportato dall’assicurato; eccepivano la prescrizione ex articolo 2952 cc del diritto dell’assicurato; la polizza era stata emessa in coassicurazione diretta ex articolo 1911 cc, con singole quote di coassicurazione; contestavano, poi, la fondatezza della domanda attorea non sussistendo negligenza o imperizia dei sanitari, atteso che la paziente era stata sottoposta ad emotrasfusione perché in pericolo di vita, dietro consenso della stessa ed utilizzando sacche di sangue provenienti dal centro trasfusionale degli OO.RR. di Salerno.

La fase istruttoria si realizzava a mezzo delle produzioni documentali delle parti, con l’espletamento dì prova testimoniale e di consulenza medico-legale d’ufficio ad opera del prof. dott. B.D.P..

Ciò premesso, vanno previamente svolte delle considerazioni di carattere generale.

Va osservato, innanzitutto, che la domanda proposta nei confronti del Ministero della Salute va qualificata azione risarcitoria ex art. 2043 cc, per avere il Ministero, in violazione del principio del neminem laedere e, quindi, colposamente, omesso di vigilare sulla sicurezza del sangue e degli emoderivati.

Non si configura, infatti, una responsabilità del convenuto ai sensi dell’art. 2050 cc, in quanto attività pericolosa non è quella del Ministero che esercita la vigilanza in materia sanitaria e di uso dei derivati del sangue, ma piuttosto quella dei soggetti direttamente coinvolti nella produzione e commercializzazione dei prodotti (cfr Cass. 20 luglio 1993, n. 8069; 27 gennaio 1997, n. 814 e Cassazione civile , sez. un., 11 gennaio 2008, n. 576: Pur essendo indubbio il connotato della pericolosità insito nella pratica terapeutica della trasfusione del sangue e dell’uso degli emoderivati, ciò non si traduce nella pericolosità anche della correlata attività di controllo e di vigilanza etti è tenuto il Ministero della salute; ne consegue che la responsabilità di quest’ultimo per i danni conseguenti ad infezione da HIV e da epatite, contratte da soggetti emotrasfusi per omessa vigilanza da parte dell’Amministrazione sulla sostanza ematica e sugli emoderivati, è inquadrabile nella violazione della clausola generale di cui all’art. 2043 c.c. e non in quella di cui all’art 2050 c.c.).

Neppure è configurabile una responsabilità del Ministero ai sensi dell’articolo 2049 c.c., in quanto tra gli enti (unità sanitarie locali, ospedali ecc., tutti dotati di autonoma personalità giuridica) che hanno provveduto all’effettiva somministrazione degli emoderivati nell’ambito del servizio sanitario nazionale ed il Ministero, non sussiste un rapporto di dipendenza ovvero di committenza che possa giustificare l’applicazione della disciplina in questione.

Ciò posto, va poi, osservato che la domanda risarcitoria, contrariamente a quanto dedotto dal convenuto Ministero, è ammissibile.

Il Ministero convenuto ha evidenziato la vigenza di una disciplina specifica che prevede a carico dello Stato il pagamento di un indennizzo destinato a coprire almeno in parte i danni derivanti da vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati.

Infatti, la legge n. 210 del 25 febbraio 1992, mod. dalla l. n. 237 del 25 luglio 1997 ha introdotto un sistema di sicurezza sociale con finalità solidaristica (artt. 2 e 32 Cost.) destinato a garantire a coloro che abbiano subito danni nell’esercizio di attività di cura promosse ovvero gestite dallo Stato e necessarie per la tutela della salute pubblica il riconoscimento di un indennizzo pecuniario

Secondo il condivisibile orientamento della giurisprudenza la tutela indennitaria in questione, però, non preclude l’azione risarcitoria di diritto comune, in quanto il danneggiato non perde il diritto di conseguire il risarcimento del danno integrale quando ne ricorrano i presupposti (Cfr Corte cost. n. 307 del 1990, 118 del 1996, 27 del 1998, 423 del 2000; Cass. n. 13923 del 2000; Cass. 21.2.2003 n. 2645; Cass. 31.5.2005 n. 11609, App. Milano 22 ottobre 1996, in Danno e resp., 1997, 734; Trib. Roma 14 giugno 2001 cit. e 28 novembre 1998).

Ciò posto, pacifica è, innanzitutto, la legittimazione passiva del convenuto Ministero rispetto all’azione risarcitoria intentata.

La stessa deriva in astratto dalle attribuzioni di legge che affidano al Ministero della Sanità (ora Ministero della Salute) le competenze in materia di vigilanza sanitaria e di uso dei derivati del sangue autorizzandone l’importazione e l’esportazione.

La l. 592/67 (articolo 1) attribuisce al Ministero le direttive tecniche per l’organizzazione, il funzionamento ed il coordinamento dei servizi inerenti alla raccolta, preparazione, conservazione e distribuzione del sangue umano per uso trasfusionale, alla preparazione dei suoi derivati, e ne esercita la vigilanza, nonché (articolo 21) il compito di autorizzare l’importazione e l’esportazione di sangue umano e dei suoi derivati per uso terapeutico.

Il d.p.r. n. 1256/1971 contiene norme di dettaglio che confermano nel Ministero la funzione di controllo e vigilanza in materia (artt. 2, 3, 103, 112).

La legge n. 519/1973 attribuisce all’Istituto superiore di sanità compiti attivi a tutela della salute pubblica. La legge 23.12.1978 n. 833, che ha istituito il Servizio sanitario Nazionale conserva al Ministero della Sanità, oltre al ruolo primario nella programmazione del piano sanitario nazionale ed a compiti di indirizzo e coordinamento delle attività amministrative regionali delegate in materia sanitaria, importanti funzioni in materia di produzione, sperimentazione e commercio dei prodotti farmaceutici e degli emoderivati (art. 6 lett. b, c), mentre l’art 4, n. 6, conferma che la raccolta, il frazionamento e la distribuzione del sangue umano costituiscono materia di interesse nazionale. Il d. l.n. 443 del 1987 stabilisce la sottoposizione dei medicinali alla c.d. “farmacosorveglianza” da parte del Ministero della Sanità, che può stabilire le modalità di esecuzione del monitoraggio sui farmaci a rischio ed emettere provvedimenti cautelari sui prodotti in commercio. La legge 4.5.1990, n. 107 contiene la disciplina per le attività trasfusionali e la produzione di emoderivati, ma anche prima della predetta legge, deve ritenersi che sussistesse in materia, sulla base della legislazione vigente, un obbligo di controllo, direttive e vigilanza in materia di sangue umano da parte del Ministero della sanità. (Cfr Cass. SU. 11.1.2008 n. 581).

L’omissione da parte del Ministero di attività funzionali alla realizzazione dello scopo per il quale l’ordinamento attribuisce il potere(tutela della salute pubblica) lo espone a responsabilità extracontrattuale quando, dalla violazione del vincolo interno costituito dal dovere di vigilanza nell’interesse pubblico, il quale è strumentale ed accessorio a quel potere, siano derivate violazioni dei diritti soggetti vidi terzi. (Cfr Cass. SU. 11.1.2008 n. 581).

Tanto premesso, va ritenuta, quindi, la ammissibilità della domanda risarcitoria indipendentemente dal diritto all’indennizzo previsto dalla legge n.210/ 92, in considerazione della diversa natura dei due emolumenti. Invero la possibilità di cumulare le due diverse forme di tutela si fonda sulla considerazione che la corresponsione dell’indennità non ha funzione risarcitoria, ma puramente assistenziale, costituendo una misura economica solamente aggiuntiva, riconducibile alle prestazioni poste a carico dello Stato in ragione del dovere di solidarietà sociale (cfr. Cass. sez. lav. n. 17047/2003 e Cassazione civile, sez. un., 11 gennaio 2008, n. 584: Il diritto al risarcimento del danno conseguente al contagio da virus HBV, HIV o HCV a seguito di emotrasfusioni con sangue infetto ha natura diversa rispetto all’attribuzione indennitaria regolata dalla legge n. 210 del 1992; tuttavia, nel giudizio risarcitorio promosso contro il Ministero della salute per omessa adozione delle dovute cautele, l’indennizzo eventualmente già corrisposto al danneggiato può essere interamente scomputato dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento del danno (compensatio lucri cum damno), venendo altrimenti la vittima a godere di un ingiustificato arricchimento consistente nel porre a carico di un medesimo soggetto (il Ministero) due diverse attribuzioni patrimoniali in relazione al medesimo fatto lesivo), mentre solo il risarcimento del danno rappresenta la possibilità di ottenere la integrale restituzione compensativa del pregiudizio subito.

La domanda risarcitoria proposta nei confronti dell’Amministrazione sanitaria ha, invece, natura contrattuale ex articolo 1218 c.c., atteso che, secondo la prevalente giurisprudenza di legittimità e di merito, l’accettazione del paziente in una struttura sanitaria (pubblica o privata), ai fini del ricovero oppure di una vista ambulatoriale, comporta la conclusione di un contratto d’opera professionale tra il paziente e l’ente sanitario avente ad oggetto l’obbligazione di compiere attività diagnostica e terapeutica (Cass. 1698/2006; Cass. 9085/2006; Cass. 28.5.2004 n. 10297; Cass. 8.5.2001 n. 6386; Cfr. Cass. 1.9.1999 n 9198, Cass. 24.9.1997 n. 9374)

Nel servizio sanitario, si osserva, l’attività svolta dall’ente gestore a mezzo dei suoi dipendenti è di tipo professionale medico, similare all’attività svolta nell’esecuzione dell’obbligazione privatistica di prestazione dal medico che abbia concluso con il paziente un contratto d’opera professionale (Cfr. Cass. 1.3.1998 n. 2144).

Il medico, in quanto dipendente della struttura (o comunque operante al suo interno), è tenuto a prestare la sua attività nei confronti del soggetto che ha concluso un accordo contrattuale con l’ente ed il paziente non è libero di scegliere il professionista a cui rivolgersi essendo in ciò vincolato dall’indicazione della struttura.

A sua volta anche l’obbligazione del medico dipendente della struttura sanitaria nei confronti del paziente, sebbene non fondata sul contratto, ma sul contatto sociale, ha natura contrattuale.

Il contatto sociale tra medico e paziente della struttura, infatti, surroga la consensualità tipica dell’accordo negoziale ed è fonte di un vincolo contrattuale in tutto equivalente a quello nascente da un contratto di prestazione d’opera Cfr. Cass. SU. 11.1.2008 n. 577, Cass. 28.5.2004 n. 10297, Cass. 19.5.2004 n. 9471, Cass. 21.6.2004 n. 11488, Cass. 14.7.2004 n. 13066, Cass. 8.5.2001 n. 6386, Cass. 22.1.1999 n. 589)

La prestazione professionale è oggetto di entrambi i rapporti facenti capo al paziente: quello instaurato con l’ente, in quanto l’ente assicura la disponibilità di personale qualificato a cui rivolgersi, riservandosi di condizionare la scelta del medico da parte del paziente; quello instaurato col medico nel momento in cui il paziente decide di avvalersi di quella disponibilità, in quanto è in questo preciso ambito che il rapporto di cura si sviluppa e che la prestazione sanitaria viene definita ed eseguita concretamente.

La responsabilità dell’ente gestore il servizio sanitario e quella del medico dipendente hanno entrambe radice nell’esecuzione non diligente o errata della prestazione sanitaria da parte del medico, per cui accertata la stessa, risulta contestualmente accertata la responsabilità a contenuto contrattuale di entrambi (Cfr. Cass. 22.1.1999 n. 589, Cass. S.U. 11.1.2008 n. 577).

In tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai finì del riparto dell’onere probatorio l’attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l’esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l’insorgenza o l’aggravamento della patologia ed allegare l’inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico dei debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante. (Cfr Cassazione civile, sez. un., 11 gennaio 2008, n. 577);.

Ciò premesso, nel merito, la domanda proposta nei confronti del Ministero è fondata e va accolta nei limiti appresso precisati.

Alla luce delle risultanze istruttorie e, segnatamente delle corrette e condivisibili risultanze della espletata chi, fondate su esaustive valutazioni e su motivazioni logico-scientifiche esenti da censure, sono emerse le seguenti circostanze di fatto:

in data 19 9.1998 M.T., in corso di gravidanza (38° settimana) veniva ricoverata d’urgenza presso il Presidio Ospedaliero “Mauro Scarlato” di Scafati per “sospetto distacco intempestivo di placenta”;

veniva, quindi, sottoposta ad intervento di “parto cesareo d’urgenza per sofferenza fetale in atto”;

dopo il parto, per sopraggiunte complicazioni (sanguinamento incoercibile dalla vagina e dalla ferita laparotomia, con atonia uterina), la paziente veniva sottoposta ad intervento chirurgico di “isterectomia” ed a numerose trasfusioni di sangue;

al termine dell’intervento, la paziente veniva trasferita in Rianimazione per un sopravvenuto “stato di coagulopatia” ed in data 20.9.1998 veniva sottoposta ad un terzo intervento chirurgico di “laparotomia esplorativa”, ritenuto “extrema ratio” e “salva vita” per la paziente, persistendo condizioni generali gravissime, al fine di assicurare una efficace emostasi.

in data 8.3.1999 M.T. si sottoponeva presso l’A.O.R.N. “A.Cardarelli” di Napoli al ulterioro indagini cliniche ed sami ematici che attestavano un quadro clinico di “epatite virale HCV+post trasfusionale.

Il ctu ha, quindi, accertato che nel corso della degenza di M.T. presso il P.O. “Mauro Scarlato” di Scafati vennero trasfuse alla stessa n. 35 sacche di emoderivati di cui vi è riscontro in cartella clinica (e probabilmente ulteriori 13 sacche che risultano pure trasmesse dal Centro Trasfusionale) e che tutte le sacche di emoderivati trasfuse alla paziente provenivano dall’Azienda Ospedaliera “S.Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona” di Salerno.

Inoltre, le sacche in questione “risultavano essere negative a tutti i Tests Virologici ed Ematochimici imposti dalla legge e provenivano da “donatori periodici” che “hanno proseguito negli anni successivi ad effettuare donazioni, sempre con Tests di legge Negativi, ad eccezione di alcune provenienti da “un paio di essi” per i quali non è stato possibile fornire alcun riscontro.

Deve, ritenersi, altresì, comprovata la sussistenza del nesso causale tra le trasfusioni alle quali veniva sottoposta M.T. presso il Presidio Ospedaliero di Scafati ed il contagio da virus HCV.

Rilevano a tal fine le seguenti considerazioni:

attualmente M.T. è un soggetto affetto da una “epatopatia cronica HCV correlata di grado medio”

la positività all’HCV si evidenziava nella paziente in periodo immediatamente successivo al ricovero del settembre 1998 (marzo 1999);

lo stato anteriore di salute di M.T. era rappresentato da una condizione di b-Talessemia eterozigote, HCV negativa (determinazione dei marker in data 17.2.1998) ed HBV-negativa (determinazione dei marker in data 19.9.1998) e, quindi, tale da non evidenziare una affezione da “epatite C”;

il tempo di incubazione dell’infezione è del tutto compatibile con il manifestarsi della stessa (da 2 settimane a 6 mesi, ma per lo più varia nell’ambito di 6-9 settimane).

Il ctu, ha quindi, correttamente valutato e ritenuto che “con indice di elevata probabilità prossimo alla certezza tecnica si ritiene che l’infezione da virus C dell’epatite- proprio per l’assenza di momenti eziologici di pari pregnanza sia da riportare all’indicato ricovero ospedaliero ed alle trasfusioni di emoderivati che nel corso di quella degenza vennero realizzate.

Alla luce delle esaurienti valutazioni del ctu e della acclarata incompletezza della documentazione obbligatoria sulla tracciabilità del sangue trasfuso, deve ritenersi sussistente la responsabilità del Ministero convenuto ai sensi dell’articolo 2043 c.c.

Va evidenziato che, sulla base della giurisprudenza della Suprema Corte, considerato che sul Ministero grava un obbligo di controllo, direttive e vigilanza in materia di impiego di sangue umano per uso terapeutico (emotrasfusioni o preparazione di emoderivati) anche strumentale alle funzioni di programmazione e coordinamento in materia sanitaria, affinché venga utilizzato sangue non infetto e proveniente da donatori conformi agli standards di esclusione di rischi, l’accertamento dell’omissione di tali attività e l’esistenza di una patologia da virus Hiv o Hbv o Hcv in soggetto emotrasfuso o assuntore di emoderivati, deve indurre a ritenere che, in assenza di altri fattori alternativi, tate omissione sia stata causa dell’insorgenza della malattia, e che, per converso, la condotta doverosa del Ministero, se fosse stata tenuta, avrebbe impedito la verificazione dell’evento (Cfr Cassazione civile, sez. un., 11 gennaio 2008, n. 581)

Non è invece, fondata la domanda risarcitoria proposta dagli attori nei confronti dell’Azienda Sanitaria convenuta.

Non è, infatti, emerso alcun comportamento imperito o imprudente addebitabile ai sanitari dipendenti della predetta struttura sanitaria.

Sul punto va richiamata la condivisibile valutazione del ctu che ha affermato che “non sono ravvisabili nell’operato dei sanitari operanti estremi di responsabilità professionale per imprudenza, e/o imperizia e/o negligenza relativamente alle emotrasfusioni praticate in quanto la “scelta terapeutica” era assolutamente necessaria alle complicanze che ebbero a manifestarsi e che furono rappresentate da una Coagulazione Intravasale Disseminata (CID) che-se non trattata così come venne trattata- avrebbe potuto determinare la morte della paziente.

Inoltre, i sanitari utilizzarono tutte sacche preparate presso una diversa struttura sanitaria, l’U.O. di Medicina Trasfusionale dell’Azienda Ospedaliera “S.Giovanni di Dio e Ruggì D’Aragona, munite di cartellino identificativo, in ordine alle quali non avevano alcun obbligo ulteriore di verifica rispetto a quello che competeva al predetto centro trasfusionale.

Va, quindi, esclusa la responsabilità risarcitoria della convenuta ASL Salerno 1.

Acclarata, pertanto, la responsabilità extracontrattuale del Ministero convenuto, consegue l’obbligo di risarcire i danni subiti da M.T..

Fatta applicazione del principio di regolarità causale di cui all’articolo 1223 c.c., vanno distinti il danno non patrimoniale ed il danno patrimoniale, nelle sue due componenti di danno emergente e lucro cessante (Cfr. in merito Cass. SU. 11.11.2008 n. 26972; Cass. n. 8827/2003 e Cass. 8828/2003 nonché Corte Cost. n. 233/2003).

Quanto al danno non patrimoniale, va richiamata l’attuale giurisprudenza della Suprema Corte (Cfr. Cass. n. 8827/2003, Cass. 8828/2003, Cass. SU. 11.11.2008 n. 26972, cit.) che ha attuato un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’articolo 2059 c.c., come fonte e delimitazione del contenuto del danno non patrimoniale che viene definito unitariamente come danno determinato dalla lesione di interessi inerenti la persona, senza che possa essere suddiviso in diverse poste risarcitorie che hanno solo valore descrittivo ed al cui interno trova allocazione anche il danno da lesione del diritto inviolabile della salute (articolo 32 Cost).

L’ambito di risarcibilità del danno non patrimoniale non si identifica, quindi nei soli casi determinati dalla legge (articolo 185 epe, articolo 2 l. n. 117/98; articolo 44 comma 7 d.lgs. 286/98, articolo 2 1 n. 89/2001), ma ricomprende anche ogni lesione di diritti inviolabili della persona costituzionalmente riconosciuti (a titolo esemplificativo, lesione del diritto alla salute, danno da perdita o compromissione del rapporto parentale nel caso di morte o di procurata grave invalidità del congiunto per lesione dei diritti inviolabili della famiglia ex articoli 2, 29 e 30 Cost; danno conseguente alla violazione del diritto alla reputazione, all’immagine, al nome, alla riservatezza, diritti inviolabili della persona incisa nella sua dignità preservata dagli articoli, 2 e 3 Cost).

Risulta comprovato nella specie la verificazione di un danno non patrimoniale, concretatosi, innanzitutto, nella lesione del diritto alla salute (art 32 Cost.), il cd. danno biologico.

Il danno biologico, da intendersi, come affermato, non come autonoma figura di danno, ma quale aspetto particolare della categoria generale “del danno non patrimoniale”, va inteso come “lesione temporanea e permanente all’integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e stigli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di reddito” e che, quale pregiudizio alla salute trova, appunto, fondamento nell’articolo 32 della Costituzione.

Sulla base della documentazione in atti e delle corrette e condivisibili risultanze dell’espletata c.t.u., possono ritenersi accertati a titolo di danno non patrimoniale biologico: in favore di M.T.:

a) un danno biologico da ITT. per giorni 90;

b) un danno biologico permanente del 15% (danno epatico cronico inquadrabile al minimo della II classe).

Risulta pure comprovato un ulteriore aspetto del danno non patrimoniale sotto il profilo del ed morale.

Va osservato che, alla luce della recente giurisprudenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte, esso non individua un’autonoma sottocategoria di danno, ma descrive un “pregiudizio non patrimoniale caratterizzato dalla sofferenza morale” (Cfr anche Cass. 12.12.2008 n. 29191).

Nel caso concreto, non è controvertibile che la condotta imperita dei sanitari abbia leso il bene dall’interesse all’integrità morale, la cui tutela, agevolmente ricollegabile all’art. 2 Cost., ove sia determinata un’ingiusta sofferenza contingente, si esprime mediante il risarcimento del danno non patrimoniale conseguente alle lesioni in termini di “dolore”.

Infatti, è incontestabile che l’attore -a seguito della vicenda sanitaria per cui è causa- abbia sopportato un non trascurabile patema d’animo collegato, in particolare, alle vicissitudini sanitarie ed al connesso ragionevole stato di prostrazione fisica e psicologica.

La liquidazione del detto danno non patrimoniale, in tutti gli aspetti evidenziati, deve essere effettuata con criterio equitativo ai sensi dell’articolo 1226 c.c.

In assenza di parametri oggettivi di riferimento, questo giudice ritiene opportuno utilizzare il sistema della liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione all’integrità psico-fisica predisposto dal Tribunale di Milano (Anno 2009).

In particolare, va condiviso il sistema della liquidazione tabellare ed “a punto”, consistente nell’attribuire -in base appunto alle tabelle predisposte dal Tribunale di Milano e aggiornate con cadenza annuale- ad ogni punto di invalidità permanente un certo valore, crescente in funzione del crescere dell’invalidità accertata (cfr in merito alla validità di un sistema siffatto Cass. 9.5,2000 n. 5881) ed aumentato in riferimento all’inserimento nel valore di liquidazione medio anche della componente di danno non patrimoniale relativa alla “sofferenza soggettiva” secondo una percentuale ponderata.

Si adotta, quindi, un condivisibile sistema di liquidazione congiunta del danno non patrimoniale conseguente a lesione permanente dell’integrità psicofisica e del danno non patrimoniale conseguente alle medesime lesioni in termini di dolore.

Le tabelle in questione, inoltre, oltre ad essere realizzate sulla base di criteri tendenzialmente conformi a quelli fatti propri dal legislatore – in precedenza con la l. n. 57/2001 ed ora con il d.lgs 7.9.2005 n. 209 – sono espresse al valore attuale e risultano di ampia utilizzazione a livello nazionale.

Il danno per inabilità temporanea, invece, va liquidato, sempre utilizzando i parametri espressi dalle predette tabelle, attribuendo un giusto ristoro per ogni giorno di durata della malattia: appare, quindi, equo riconoscere per ogni giorno di IT assoluta l’importo minimo di euro 88,00 e per ogni giorno di IT parziale una frazione percentuale di detta somma

Spettano, pertanto, a M.T. (che aveva 23 anni al momento del fatto per cui è causa) a titolo di danno non patrimoniale:

a) per danno biologico e morale da I.T.T. per giorni 90 euro 7920,00 (90 x 88,00);

b) per danno biologico e morale permanente del 15%: euro 43.079,00;

e, quindi, complessivi euro 50.999,00.

Vanno, poi, attribuiti all’attrice gli interessi al saggio legale in vigore anno per anno dalla data del fatto lesivo (19.9.1998) sino alla data di pubblicazione della presente sentenza sull’importo predetto, svalutato in base agli indici Istat fino alla data dell’accadimento lesivo (19.9.1998) ed ogni anno rivalutato secondo i medesimi indici (quale lucro cessante consistente nel pregiudizio subito dal danneggiato per la ritardata corresponsione dell’importo dovuto a titolo risarcitorio e secondo i criteri di liquidazione di cui alla sentenza delle S.U. della Suprema Corte 17.2.1995 n. 1712)

Dalla data di pubblicazione della sentenza sulla somma complessivamente determinata decorreranno gli interessi al saggio legale e fino all’effettivo soddisfo, in quanto dalla pronuncia della sentenza, con Sa trasformazione dell’obbligazione di valore in debito di valuta, sono dovuti gli ulteriori interessi al saggio legale (Cass. 11.5.2007 n. 10884, Cfr. Cass. 3.12.1999 n 13463 e Cass. 21.4.1998 n. 4030)

Quanto al danno patrimoniale va rilevato che non sono state documentate spese mediche, successive e causalmente collegate all’evento lesivo per cui è causa e che le risultanze della ctu hanno escluso che il complesso invalidante abbia inciso sulla capacità lavorativa dell’attrice.

Del tutto indimostrati, infine, sono rimasti i danni allegati, peraltro in maniera del tutto generica, da F.S., in proprio, e da M.T. e F.S., quale genitori esercenti la potestà sulla minore F.C..

La domanda risarcitoria, pertanto, va accolta nei limiti evidenziati Le spese seguono la soccombenza e, nella misura liquidata in dispositivo vanno poste a carico del Ministero della Sanità,unitamente a quelle di ctu, come già liquidate.

Con riferimento alle ulteriori domande risarcitone proposte, le spese vanno equamente compensate, anche con riferimento alla posizione delle chiamate in causa, in considerazione della peculiarità delle questioni in diritto trattate e della complessità dell’accertamento tecnico effettuato.