In seguito ad un controllo dei N.A.S. presso una casa di cura, emergeva che l’imputata, che prestava in detta struttura la propria opera professionale, quale infermiera, non risultava iscritta al relativo albo professionale provinciale.

Ha osservato il Tribunale che non poteva ritenersi integrata la fattispecie dell’esercizio abusivo di una professione, in quanto può affermarsi che l’obbligo di iscrizione all’albo professionale è previsto solo per coloro che esercitano liberamente la loro attività professionale mediante contratti d’opera conclusi direttamente con il pubblico dei clienti, e non anche per coloro che prestano la propria attività all’interno di una struttura sanitaria, pubblica o privata che sia. In quest’ultima ipotesi l’unico requisito richiesto è il possesso del titolo abilitante a svolgere quella determinata attività professionale.

Tribunale di Pisa, Sent. del 21.05.2010

omissis

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

Con decreto di giudizio immediato del 27/10/09 K.M. veniva citata innanzi a questo Giudice monocratico per rispondere del reato indicato in epigrafe.

All’udienza del 23/4/10 è stata celebrata l’istruttoria dibattimentale con l’escussione dei testi N.M. e M.A., con l’escussione del consulente tecnico di parte G. Giovanni e con l’acquisizione della documentazione prodotta dalle parti; all’odierna udienza, all’esito della discussione, sono state rassegnate le conclusioni di cui al verbale.

Ritiene il Giudice che gli esiti dell’istruttoria dibattimentale impongano di mandare assolta la K. dall’imputazione ascrittale (l’aver esercitato abusivamente la professione di infermiera in assenza della iscrizione nell’albo professionale) perchè il fatto non sussiste. I fatti per cui si procede sono pacifici nella loro storicità e possono così essere sintetizzati: in seguito ad un controllo dei N.A.S. presso la Casa di cura San R.  emergeva che l’odierna imputata, che prestava in detta struttura la propria opera professionale, quale infermiera, non risultava iscritta al relativo albo professionale provinciale. In particolare, è stato accertato che la K. era alle dipendenze della predetta casa di cura dal 1990 circa; che aveva conseguito in Olanda, suo paese di origine, il diploma che la abilitava all’esercizio della professione di infermiera (quella appunto svolta presso la Casa di cura San R. ); che in seguito alla entrata in vigore della legge 1/2/06 n. 43 non aveva provveduto ad iscriversi nell’albo professionale.

Tanto premesso in fatto, osserva il Tribunale che nel caso di specie non possa ritenersi integrata la fattispecie di cui all’art. 348 c. p., in quanto – con il conforto della giurisprudenza della Suprema Corte (cfr., da ultimo, Cass., VI sez. pen., 4/11/08 n. 6491, Pramaggiore – conf. Cass., VI sez. pen., 1/4/03 n. 28306) – può affermarsi che l’obbligo di iscrizione all’albo professionale è previsto solo per coloro che esercitano liberamente la loro attività professionale mediante contratti d’opera conclusi direttamente con il pubblico dei clienti, a norma degli artt. 8 e 10 del D. Lgs. n. 233 del 1946 e non anche per coloro che prestano la propria attività all’interno di una struttura sanitaria, pubblica o privata che sia. In quest’ultima ipotesi l’unico requisito richiesto è il possesso del titolo abilitante a svolgere quella determinata attività professionale.

Ha più che condivisibilmente affermato la Corte sul punto che la ratio dell’obbligo d’iscrizione nell’apposito albo degli esercenti la libera professione di infermiere va individuata nella necessità di portare a conoscenza del pubblico quali siano le persone autorizzate ad esercitare tale professione e nello stesso tempo di garantire che le stesse siano sottoposte alla vigilanza dei competenti Collegi per eventuali aspetti disciplinari e per l’osservanza delle tariffe predisposte. Ne consegue che l’iscrizione all’albo professionale configura un atto di accertamento costitutivo dello status di professionista, operante erga omnes, con l’ulteriore conseguenza che la stessa è imposta soltanto a coloro che esercitano la libera professione mediante contratti d’opera direttamente con il pubblico dei clienti. Ed esercitare liberamente la professione significa, secondo la Suprema Corte, compiere atti caratteristici della stessa: ciò avviene quando un soggetto, dotato di un corredo particolare di cognizioni tecnico – scientifiche, pone tale suo bagaglio culturale, in piena autonomia e a fine lucrativo, a disposizione della potenziale utenza con continuità e sistematicità. Risulta, dunque, evidente la necessità che la professione liberamente esercitata sia monitorata attraverso l’iscrizione dell’esercente nell’apposito albo previsto dalla legge.

Per converso, è altrettanto evidente che l’obbligo d’iscrizione in parola non può sussistere per gli infermieri professionali che non svolgono attività autonoma e libera nel senso sopra esplicitato, ma sono legati da un rapporto di lavoro dipendente anche con una struttura privata, direttamente o indirettamente accreditata presso la Pubblica Amministrazione. Ciò per una pluralità motivi: innanzitutto, perché in tale ultimo caso non esplicano attività professionale mediante contratti d’opera direttamente con il pubblico dei clienti; in secondo luogo, perchè non necessitano di una sorveglianza sulle tariffe applicate, in quanto percepiscono uno stipendio fisso; in terzo luogo, perché rispondono disciplinarmente al loro datore di lavoro, al quale sono legati da rapporto gerarchico; infine, perché devono incontrare nello svolgimento delle loro funzioni il gradimento e la piena soddisfazione della struttura sanitaria presso la quale lavorano, anche se quest’ultima non è pubblica ma è comunque accreditata e convenzionata con il Servizio Sanitario Nazionale.

In altri termini, quando l’infermiere presta la sua opera all’interno di una struttura sanitaria, l’utenza fa affidamento sulla garanzia offerta dalla struttura alla quale si rivolge e, dunque, non instaura un rapporto diretto con il singolo operatore sanitario che in essa lavora. Può quindi affermarsi che in tal caso la prestazione dell’infermiere non è espressione del libero esercizio professionale, ma costituisce piuttosto adempimento di un dovere connesso al rapporto che lo lega alla struttura sanitaria nella quale opera, con la conseguenza che, per l’esercizio di tale attività, non è richiesta l’iscrizione al relativo albo, ma è sufficiente il possesso del titolo abilitante, che nel caso portato all’esame del Tribunale è pacificamente in possesso dell’imputata.

Le brevi considerazioni che precedono, dunque, impongono di mandare assolta K.M. dall’imputazione ascrittale perché il fatto non sussiste.

P.Q.M.

letto l’art. 530 c.p.p., assolve K.M. dall’imputazione ascrittale perché il fatto non sussiste.

Così deciso in Pisa, con motivazione contestuale letta all’udienza del 21/5/10.