La Legge vieta agli odontotecnici di esercitare, anche alla presenza e in concorso del medico o dell’abilitato all’odontoiatria, alcuna manovra, cruenta o incruenta, nella bocca del paziente, sana o ammalata, limitandone la sfera d’attività alla costruzione di apparecchi di protesi dentaria su modelli tratti dalle impronte loro fornite dai medici chirurghi e dagli abilitati a norma di legge all’esercizio della odontoiatria e protesi dentaria, con le indicazioni del tipo di protesi.

Consiglio di Stato – Sez. V; Sent. n. 1106 del 22.02.2011

FATTO

1. Con la sentenza in epigrafe, il T.A.R. della Lombardia accoglieva il ricorso proposto da X.  X.  X.  avverso il provvedimento dell’U.S.S.L. n. 71 di Castano Primo prot. n. 10142 del 20 luglio 1994, col quale era stata revocata, ai sensi dell’art. 16, comma 2, l. reg. 17 febbraio 1986, n. 5, l’autorizzazione sanitaria per l’esercizio dello studio medico-dentistico dallo stesso condotto, in quanto durante un’ispezione eseguita il 3 giugno 1994 era stata rilevata la presenza, nell’ambulatorio, dell’odontotecnico Y.  Y. , titolare di un laboratorio sito nel medesimo edificio e collegato attraverso una porta con i locali dello studio medico-dentistico, il quale vi effettuava prestazioni tipicamente mediche (raccolta di sintomi, ispezione cavo orale, diagnosi, iniezione anestetico) esulanti dall’attività di odontotecnico. Il T.A.R. accoglieva, in particolare, la doglianza di sproporzionalità ed eccessività dell’irrogata sanzione, “atteso che, nel caso, la violazione accertata – se pure grave – è una sola (ex art. 16 L.R. 5/86)” (v. così, testualmente, l’impugnata sentenza). Dichiarava le spese di causa interamente compensate fra le parti.

2. Avverso tale sentenza proponeva appello l’Amministrazione soccombente, deducendo l’erronea interpretazione dell’art. 16, comma 2, l. reg. 17 febbraio 1986, n. 5, nonché l’assoluta carenza di motivazione in ordine alla ritenuta sproporzionalità della sanzione. Chiedeva dunque, in riforma della gravata sentenza, il rigetto del ricorso proposto in primo grado, con vittoria di spese.

2. Costituendosi, l’appellato contestava la fondatezza dell’appello e ne chiedeva il rigetto a spese rifuse.

3. All’udienza pubblica del 9 novembre 2010 la causa veniva trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. L’appello è fondato.

1.1. Si premette, in linea di fatto, che deve ritenersi incontrovertibilmente comprovata la presenza, in occasione di sopralluogo eseguito il 3 giugno 1994 dal personale ispettivo dell’U.S.S.L. n. 71 di Castano Primo presso l’ambulatorio medico-dentistico dell’odierno appellato, dell’odontotecnico Y.  Y. , titolare di un laboratorio odontotecnico direttamente comunicante con l’ambulatorio dentistico, il quale vi stava effettuando prestazioni di natura tipicamente medico-sanitaria (raccolta di sintomi, ispezione cavo orale, diagnosi, iniezione anestetico), esulanti dall’attività artigianale di odontotecnico quale configurata dall’art. 11 r.d. 31 maggio 1928, n. 1334, che vieta “agli odontotecnici di esercitare, anche alla presenza e in concorso del medico o dell’abilitato all’odontoiatria, alcuna manovra, cruenta o incruenta, nella bocca del paziente, sana o ammalata”, limitandone la sfera d’attività alla costruzione di “apparecchi di protesi dentaria su modelli tratti dalle impronte loro fornite dai medici chirurghi e dagli abilitati a norma di legge all’esercizio della odontoiatria e protesi dentaria, con le indicazioni del tipo di protesi”.

1.2. Posto che l’attività svolta dall’odontotecnico nell’ambulatorio dell’odierno appellato, quale accertata in occasione del citato sopralluogo, si poneva in palese contrasto col citato disposto normativo, configurando esercizio abusivo di professione sanitaria (tant’è che è stato instaurato correlativo procedimento penale), nonché tenuto conto dell’indubbia gravità oggettiva del fatto contestato, assurgente a rilevanza penale e congruamente messa in risalto nella parte-motiva del gravato provvedimento, si osserva che l’irrogazione della sanzione della revoca dell’autorizzazione è ampiamente sorretta dalla previsione normativa contenuta nell’art. 16, comma 2, l. reg. 17 febbraio 1986, n. 5 (Disciplina per l’autorizzazione e la vigilanza sulle istituzioni sanitarie di carattere privato che svolgono attività ambulatoriale, nonché per il trasporto di infermi), applicabile ratione temporis, che testualmente recita: “In caso di ripetute o gravi violazioni l’ente responsabile dei servizi di zona può disporre la revoca dell’autorizzazione; la revoca è altresì disposta nel caso in cui venga meno il soggetto titolare dell’autorizzazione per rinuncia, decesso, ovvero per estinzione della persona giuridica”.

Va, al riguardo, segnatamente messo in rilievo che l’applicazione della sanzione della revoca dell’autorizzazione sanitaria non presuppone affatto – come sembra adombrato nell’impugnata sentenza – l’accertamento di una pluralità di violazioni della richiamata disciplina, essendo alla luce del chiaro e univoco dato letterale della citata disposizione normativa sufficiente il compimento di una violazione unica, purché grave, nella specie, per quanto sopra esposto, da ritenersi indubbiamente integrata.

Né, infine, è ravvisabile la lamentata sproporzionalità della sanzione, essendo il provvedimento sanzionatorio sorretto da congrua e logica motivazione in ordine alla gravità della violazione, legittimante l’irrogazione della sanzione della revoca dell’autorizzazione sanitaria.

1.3. Resta assorbita ogni altra questione.

1.4. In riforma della gravata sentenza, s’impone dunque il rigetto del ricorso proposto in primo grado.

2. In applicazione del criterio della soccombenza, le spese del doppio grado devono essere poste a carico dell’appellato.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma dell’impugnata sentenza, respinge il ricorso proposto in primo grado;

condanna l’appellato X.  X.  X.  a rifondere all’amministrazione appellante le spese del doppio grado, che si liquidano nell’importo complessivo di euro 3.500,00, oltre agli accessori di legge.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.