Il rischio teraupetico viene distinto in errore teraupetico di carattere esecutivo (per es. chirurgico) ed errore di carattere valutativo (errore diagnostico di individuazione della sintomatologia, ovvero erronea sottovalutazione dell’effetto di interazione tra farmaci o interventi comunque invasivi). In particolare, si è sottolineato che la rilevanza penale dell’errore valutativo deve ritenersi subordinata alla condizione che esso sia manifestazione di un evidente atteggiamento soggettivo del medico di superficialità, di avventatezza, imperizia nei confronti delle necessità teraupetiche del paziente.

Corte di Cassazione, Sez. IV Penale, Sent. n. 8844 del 7.03.2011

 

omissis

 

Svolgimento del processo

1. P.M., cardiologo in servizio presso l’ospedale B.  di X. , veniva tratto a giudizio innanzi al Tribunale di Cagliari per rispondere del reato di omicidio colposo perpetrato nei confronti di T.F.. Il medico era accusato di avere avuto in cura la T., la quale aveva subito il trapianto del cuore nel X.  presso l’ospedale Le M.  di X. , dal 14 a 18 ottobre 2001, e di averla dimessa in quest’ultima data senza disporre una coronarografia e senza mettere al corrente i medici trapiantologia dell’ospedale Le M.  dell’evoluzione negativa delle condizioni della T.. Costei, il giorno successivo 19 era stata ricoverata nuovamente presso il nosocomio di Cagliari, a seguito di un episodio lipotimico, lamentando forti dolori addominali ed assegnata al reparto di gastroenterologia, dove era stata sottoposta ad ecografia addominale; peraltro, nella serata del X.  era deceduta. Era stato accertato il decesso a causa di “Vasculopatia occlusiva in cuore trapiantato- coronoropatia asterosclerotica accelerata- stadio precoce. Morte improvvisa coronarica”. 2. Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Cagliari, con sentenza in data 26-06-2007, assolveva P.M. dal reato ascritto perchè il fatto non costituiva reato.

Il Giudice escludeva la sussistenza in capo all’imputato di un comportamento colposo, nonchè, in ogni caso, la ricorrenza del nesso di causalità tra la presunta negligenza attribuita al P. e la morte di T.F.. Al riguardo, doveva tenersi conto che la paziente era stata ricoverata in precedenza presso l’ospedale Le M.  il 11-09 e successivamente dal 24 al 27-09-2001, sempre per il controllo del decorso postoperatorio del trapianto; le condizioni di costei risultavano migliorate, rispetto alla situazione riscontrata a Torino, dopo la degenza al B. di Cagliari, essendo stata constata la quasi totale risoluzione del pericolo di rigetto acuto passato dallo stadio di grado acuto 3B a quello tranquillante 3A, mediante l’apprestamento di opportuna terapia farmacologica (sia di antirigetto che antiscompenso). D’altro canto, anche tenendo conto delle valutazioni espresse dai periti nominati in sede di incidente probatorio, doveva escludersi che potesse ritenersi sussistente un obbligo a carico del P. di eseguire la coronarografia che non era stata esperita neppure dai medici delle M.  e che, nel caso di trapianto di cuore, va eseguita a seguito di attenta programmazione in genere dopo uno- due anni dall’intervento. Aggiungeva che la coronografia costituiva uno strumento diagnostico che, nel caso di accertamento di coronopatia ostruttiva grave, avrebbe imposto come soluzione medica un rapidissimo intervento di ritrapianto di non facile attuazione pratica attesa la necessità di reperire in termini brevissimi un nuovo organo compatibile.

Sotto altro profilo era da sottolinearsi che, mentre i sanitari dell’ospedale di Cagliari stavano curando la T. in relazione al pericolo di rigetto acuto con esiti positivi, si era verificato un episodio improvviso, e quindi imprevedibile, di rigetto cronico precoce.

Neppure fondato, ad avviso del GUP di Cagliari, era l’addebito di non avere contattato i medici cardiologi di Torino che avevano eseguito il trapianto sulla donna. Difatti, il dott. P., al momento delle dimissioni della paziente, aveva raccomandato di prendere contatto quanto prima con i sanitari delle M.  ed aveva redatto una dettagliata lettera di dimissioni concernente le condizioni di salute della T.; il giorno successivo alle dimissioni, la madre della T. aveva inviato via fax la lettera del dott. P. alla struttura ospedaliere torinese senza peraltro avere risposta.

3. La Parte civile D.L. proponeva impugnazione con appello. La Corte di Appello di Cagliari, con sentenza in data 10-11- 2009, confermava la decisione del Giudice di primo grado. Ribadiva la correttezza delle argomentazioni svolte dal GUP di Cagliari.

4. La parte civile proponeva ricorso per cassazione.

Censurava l’affermazione della Corte di Cagliari, secondo cui la preponderante posizione di garanzia, rispetto alla parte offesa, era attribuibile ai sanitari di Torino che avevano eseguito l’intervento di trapianto, mentre la posizione dell’imputato appariva marginale in considerazione del limitato tempo in cui aveva avuto in cura la donna. Per contro, doveva ritenersi che il dott. P., una volta instauratosi il rapporto teraupetico con T.F., era tenuto a compiere tutti gli incombenti necessari per la tutela della vita e salute della paziente.

Rilevava che il Collegio di Appello aveva erroneamente escluso la violazione di regole cautelari poste a presidio dell’operato del medico. Mentre, era sicuramente addebitarle al prevenuto di non avere preso contatti immediati con i medici che stavano seguendo la donna nel delicato periodo postoperatorio del trapianto, come di non avere eseguito la coronarografia prima di dimettere la ricoverata. Dette omissioni erano sicuramente in nesso di causalità con l’evento letale: in particolare, la causa della morte del soggetto passivo del fatto era stata accertata come dipendente da una grave vasculopatia;

la vasculopatia avrebbe potuto essere diagnosticata con la coronarografia; in presenza della relativa diagnosi si sarebbe potuto prontamente intervenire con terapie idonee ad evitare l’evento ovvero a procrastinarlo significativamente.

Ribadiva che l’imputato era in colpa, perchè il particolare decorso clinico della T. (in precedenza aveva avuto tre episodi di rigetto) doveva indurre il medico curante a rappresentarsi l’eventualità della presenza nella paziente di una vasculopatia, con la conseguente necessità di effettuare d’urgenza la coronarografia e cioè l’unico esame che avrebbe consentito di accertare con certezza tale patologia.

Si doleva ancora che la Corte di merito non aveva tenuto conto di tutte le emergenze processuali idonee ad apportare elementi di valutazione e a formare il convincimento del giudice; all’uopo, non era stata più rinvenuta una radiografia toracica che a detta di diversi testimoni era stata eseguita sulla T. e che avrebbe rivelato la sussistenza di un esteso edema polmonare, connesso evidentemente con uno stato di scompenso cardiaco avanzato. Chiedeva l’annullamento della sentenza impugnata con ogni conseguenza di legge.

5. Il Dott. P. presentava memoria difensiva.

Motivi della decisione

1. Il ricorso deve essere respinto perchè infondato.

Si osserva che i Giudici di merito hanno correttamente ricostruito la vicenda processuale sulla base degli elementi probatori acquisiti, correttamente apprezzati ed interpretati, tenendo conto delle vantazioni tecniche, fondate su basi scientifiche, attentamente formulate dai periti nominati in sede di incidente probatorio dal GIP del Tribunale di Cagliari.

D’altro canto, è noto che compito di questa Corte di legittimità non è quello di sostituire il ragionamento valutativo espresso dai Giudici di merito con un altro in riferimento a diversi parametri di giudizio, ma di controllare la logicità e razionalità della decisione correlata alle emergenze di fatto ricorrenti.

2. L’orientamento in dottrina e giurisprudenza è quello di pervenire ad una situazione di attento contemperamento, nella individuazione della responsabilità professionale del medico, tra fa valutazione del rischio patologico (originato dalla patologia accusata dall’ammalato) ed il rischio teraupetico (originato dall’intervento teraupetico svolto dal medico). A sua volta, il rischio teraupetico viene distinto in errore teraupetico di carattere esecutivo (per es. chirurgico) ed errore di carattere valutativo (errore diagnostico di individuazione della sintomatologia, ovvero erronea sottovalutazione dell’effetto di interazione tra farmaci o interventi comunque invasivi). In particolare, si è sottolineato che la rilevanza penale dell’errore valutativo deve ritenersi subordinata alla condizione che esso sia manifestazione di un evidente atteggiamento soggettivo del medico di superficialità, di avventatezza, imperizia nei confronti delle necessità teraupetiche del paziente. Cioè, viene messa in rilievo l’esigenza di realizzare e recuperare un’adeguata “soggettività della colpa medica”, nel senso di effettiva possibilità di manifestare uno specifico giudizio di rimprovero in ordine alla condotta, omissiva o commissiva, del sanitario, configurante la c.d. “colpevolezza della colpa”.

Sotto altro profilo, viene appunto evidenziata, nell’individuazione della responsabilità medica, l’importanza di tenere conto delle categorie teoriche, peraltro strettamente connesse con aspetti normativi e conoscitivi, da un verso della misura soggettiva della colpa, consistente nella prevedibilità del risultato offensivo e nell’esigibilità della condotta conforme alla regola cautelare, e dall’altro della misura oggettiva della colpa, contrassegnata invece dalla individuazione e violazione della regola cautelare e dalla evitabilità del risultato dannoso.

3. Sulla base di dette premesse normative, si osserva che risultano acquisite dai giudici di merito, tramite la perizia svolta e gli ulteriori elementi probatori, esaustive informazioni scientifiche concernenti l’andamento della patologia accusata da T. F.; la normale efficacia delle terapie intraprese dai medici;

la riconoscibilità dei segnali clinici evidenziatisi; l’accertamento dell’adeguato comportamento in fase teraupetica tenuto dai sanitari curanti, secondo i protocolli conosciuti ed alla luce della concreta storia clinica della paziente.

Del resto, si evidenzia che l’accertamento della ricorrenza o meno del nesso di causalità configura un giudizio di fatto (riservato al Giudice di merito), non censurabile se correttamente e logicamente motivato, così come effettuato nel caso di specie, secondo il quale i giudici hanno escluso che il comportamento dell’imputato abbia comunque avuto in qualche modo incidenza sullo sviluppo del quadro clinico della paziente e sulla complessa patologia da cui era affetta.

4. Il rigetto del ricorso comporta la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.