Un’infermiera e il legale rappresentante di una società produttrice di kit di ossigenoterapia sono stati condannati la prima per aver mal collegato l’umidificatore, mediante inversione dei condotti di ingresso e di uscita dell’ossigeno, causando fuoriuscita e conseguente ingerimento di acqua da parte del paziente, poi deceduto, e il secondo per aver prodotto e messo in commercio l’apparecchiatura medicale in violazione delle disposizioni di legge, atteso che i terminali di ingresso e di uscita dell’ossigeno risultavano identici per forma e colore, agevolando così l’inversione accidentale dei collegamenti con conseguente fuoriuscita di liquidi pericolosi.

Cassazione Penale – Sez. IV; Sent. n. 11439 del 11.03.2013

Ritenuto in fatto

 1. Con sentenza in data 29 marzo 2011 la Corte d’appello di Bologna confermava la sentenza pronunciata dal Tribunale di Reggio Emilia in data 28 ottobre 2009, appellata dagli imputati A. , M. e T. (condannati alla pena di anni uno di reclusione ciascuno) e dal P.M., condannando gli imputati appellanti alla rifusione delle spese di parte civile. Gli imputati erano stati tratti a giudizio per rispondere di omicidio colposo in danno di D.M.C. , sottoposto ad ossigenoterapia presso la casa protetta X. , deceduto a causa di arresto cardio circolatorio concausato dalla fuoriuscita e conseguente ingerimento di circa 350 ml di acqua dall’apparato ossigenazione Y.  il cui umidificatore risultava erroneamente collegato mediante inversione dei condotti di ingresso e di uscita dell’ossigeno. In particolare alla T. era stato contestato, quale presidente del C. d. A. e quindi legale rappresentante della X.  s.p.A. produttrice del kit umidificatore di aver progettato, prodotto e messo in commercio la predetta apparecchiatura medicale in violazione delle disposizioni di cui ai nn. 1, 2, 12.8.2, 12.9. 13 dell’allegato 1 al D.L.vo 46/1997 e quindi rischiosa per lo stato clinico e la sicurezza dei pazienti, in particolare in quanto i terminali di ingresso e di uscita risultano identici per forma e colore agevolando così l’inversione accidentale dei collegamenti con conseguente fuoriuscita di liquidi pericolosi, in assenza altresì di dispositivi obbligatori di segnalazione e/o impedimento delle predette emissioni; ed inoltre mancante di chiare ed esaurienti istruzioni scritte sulle modalità di utilizzo, in violazione delle norme UNI EN ISO 8185.

 

Al M. quale amministratore unico e legale rappresentante della s.r.l. GAS X.  (ora Y.  S.r.l.) per aver dotato l’ossigenatore P.   fornito dalla propria società alla casa di cura X. il kit umidificatore X.  privo dei requisiti di sicurezza e del relativo manuale di istruzione nonché provvedendo alla sua distribuzione al paziente senza curare che la stessa avvenisse mediante personale specializzato e fornendo tutte le istruzioni necessarie al corretto utilizzo del macchinario. All’A. quale incaricato della Z.  Y.  per aver consegnato l’apparecchio in questione all’infermiera B.D. della casa di cura omettendo di fornirle dimostrazione pratica di funzionamento (ed in particolare sulla corretta connessione dei tubi di entrata/uscita dell’umidificatore), manuale con istruzioni in italiano, indicatore delle prescrizioni di sicurezza nonché sulla condotta da tenere in caso di incidenti o anomalie di funzionamento ed anzi inducendo la stessa consegnataria a sottoscrivere un verbale di consegna falsamente attestante come compiute le suddette e previste attività e consegna dei materiali.

2. Avverso tale decisione proponeva ricorso la T. a mezzo dei suoi difensori censurando la gravata sentenza per manifesta Illogicità della motivazione e/o mancanza della medesima in ordine all’accertamento della colpa della T. sotto il profilo della sussistenza della cooperazione colposa o della sussistenza di cause indipendenti.

3. Ricorre altresì sempre a mezzo del proprio difensore A.S. lamentando:

3.1 la violazione di legge in riferimento all’art. 41 c.p. ed illogicità della motivazione laddove non rinviene nella condotta della signora B. la sussistenza della causa sopravvenuta da sola sufficiente a causare l’evento morte.

3.2 la violazione di legge in riferimento all’art. 114 c.p. e la illogicità della motivazione laddove non ritiene la condotta dell’A. avente una minima importanza nella causazione della morte del D.M. .

3.3. la violazione di legge in riferimento all’art. 62 bis c.p. ed illogicità, contraddittorietà e carenza della motivazione laddove non ritiene il signor A. meritevole dell’applicazione delle circostanze attenuanti.

4. Ricorre infine sempre a mezzo del proprio difensore M.F. lamentando:

4.1 la violazione di legge in riferimento all’art. 41 c.p. ed illogicità della motivazione laddove non rinviene nella condotta della signora B. la sussistenza della causa sopravvenuta da sola sufficiente a causare l’evento morte.

4.2 la illogicità, contraddittorietà e carenza di motivazione in relazione alla ritenuta raggiunta prova della colpa del M. consistita nell’aver scelto quel kit umidificatore in sé pericoloso.

4.3 illogicità, contraddittorietà e carenza di motivazione in relazione alla ritenuta raggiunta prova che il M. ha fornito il kit umidificatore privo dei dispositivi di sicurezza, privo del manuale di istruzioni e senza curare che la distribuzione al paziente avvenisse mediante personale specializzato e fornendo tutte le istruzioni necessarie al corretto utilizzo del macchinario.

4.4 la violazione di legge in riferimento all’art. 114 c.p. e la illogicità della motivazione laddove non ritiene la condotta del M. avente una minima importanza nella causazione della morte del D.M. .

4.5 la violazione di legge ih riferimento all’art. 62 bis c.p. ed illogicità, contraddittorietà e carenza della motivazione laddove non ritiene il signor A. meritevole dell’applicazione delle circostanze attenuanti.

Considerato in diritto

5. Come osservato dalla Corte territoriale nella impugnata sentenza non sono in discussione la ricostruzione storica dell’accaduto e delle condotte materialmente poste in essere da ciascuno dei protagonisti della vicenda; è quindi incontestato che il kit umidificatore era prodotto dalla X.  S.p.A. di cui era legale rappresentante la T. ; che lo stesso era commercializzato dal M. unitamente all’ossigenatore per il tramite del proprio agente A. e che fu la infermiera B. (nei cui confronti la sentenza di condanna è già definitiva non avendo proposto gravame) a collegare erroneamente, invertendoli, i terminali di ingresso e uscita dell’ossigeno. È stato altresì accertato che l’erroneo funzionamento dell’apparecchiatura applicata al D.M. era ascrivibile unicamente al montaggio non corretto dei componenti del kit i cui terminali di ingresso e di uscita, posti sul tappo del contenitore dell’acqua erano del tutto identici per forma, dimensione e colore e quindi facilmente scambiabili e che l’inversione dei suddetti terminali aveva determinato la fuoriuscita di acqua invece che di aria dalle cannule nasali, con il conseguente decesso del D.M. .

6. Tanto premesso, osserva la Corte: quanto alla posizione della T. , quest’ultima deduce con l’unico motivo di gravame proposto che la Corte territoriale non avrebbe spiegato come la condotta colposa ‘finale e decisiva’ posta in essere dalla B. possa costituire lo sviluppo logicamente prevedibile delle condotte colpose antecedenti e che l’aver prodotto il kit in questione non avrebbe nulla a che fare con la condotta posta in essere dall’operatore finale. Il motivo che riproduce sostanzialmente quanto dedotto in sede di gravame avverso la sentenza di 1^ grado, è infondato. Ed invero la Corte territoriale ha sottolineato (senza che sul punto nulla di specifico venga osservato dalla ricorrente), da un lato come, stante la mancata ed incontestata non differenziazione tra i terminali di ingresso e di uscita del kit, la probabilità di eseguire un montaggio non corretto della macchina era estremamente elevata e dall’altro come il carattere oggettivamente rischioso dell’apparecchiatura in questione era ben noto alla azienda produttrice che ne aveva messo in commercio altra per l’appunto dotata di terminali completamente differenti l’uno dall’altro, ancorché maggiormente costosa.

7. Parimenti infondato il ricorso del M. . Per le considerazioni già in parte svolte in precedenza, deve innanzitutto escludersi che la condotta della B. sia da ritenersi causa sopravvenuta da sola sufficiente a causare l’evento morte. In particolare il ricorrente richiama sul punto la relazione dell’ing. S. da cui emergerebbe che la B. per due volte aveva provveduto all’inserimento delle cannule nasali. Quindi – secondo la prospettazione del M. – nel momento in cui aveva visto uscire l’acqua dalle cannule nasali dopo la prima applicazione, avrebbe dovuto accorgersi dell’errore. Trattasi di argomento che si basa su un dato meramente congetturale (la B. ‘avrebbe dovuto accorgersi che il problema era proprio l’acqua che fuorisciva dalle cannule…’) e che comunque non inficia l’iter argomentativo della impugnata sentenza che ha messo in rilievo come il M. , pur avendo ammesso di essersi reso ben conto del ‘potenziale rischio (peraltro già verificatosi) derivante dalla facilità di invertire i tubi di collegamento dell’umidificatore, ciò nonostante ‘egli né desisteva dall’abbinamento pericoloso in questione, né si esimeva dal fornire l’apparecchiatura così rischiosamente operante al D.M. ‘. Va peraltro evidenziato che, come precisato da questa Corte (Sez. 4, 29/4/2009, n. 26020, Cipiccia e altri, RV 243933), ai fini dell’apprezzamento dell’eventuale interruzione del nesso causale tra la condotta e l’evento (art. 41 c.p., comma 2), il concetto di causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l’evento non si riferisce solo al caso di un processo causale del tutto autonomo, giacché, allora, la disposizione sarebbe pressoché inutile, in quanto all’esclusione del rapporto causale si perverrebbe comunque sulla base del principio condizionalistico o dell’equivalenza delle cause (condicio sine qua non) di cui all’art. 41 c.p., comma 1. La norma, invece, si applica anche nel caso di un processo non completamente avulso dall’antecedente, nel senso che è l’agente, con la sua condotta (attiva od omissiva), ad avere posto in essere un fattore causale del risultato, vale a dire un fattore senza il quale il risultato medesimo nel caso concreto non si sarebbe avverato, pur tuttavia non ne risponde se e in quanto la verificazione di questo risulti in concreto dovuta al concorso di fattori sopravvenuti eccezionali (cioè rarissimi). Deve trattarsi in altri termini di fattori completamente atipici, di carattere assolutamente anomalo ed eccezionale, che non si verificano se non in casi del tutto imprevedibili a seguito della causa presupposta. In proposito, dovendosi escludere che possa assumere tale rilievo eccezionale la condotta di un soggetto, pur negligente, la cui condotta inosservante trovi la sua origine e spiegazione nella condotta di chi abbia creato colposamente le premesse su cui si innesta il suo errore o la sua condotta negligente. Con il secondo motivo il M. deduce il travisamento del fatto in relazione alle riportate dichiarazioni dell’imputato all’udienza del 21 aprile 2008 avendo lo stesso anche precisato che la scelta del modello dell’umidificatore non era legata all’esigenza di risparmio ma alla tipologia del raccordo tra vaschetta ed ossigenatore, che nel caso del modello con tubi differenziati, era più facilmente soggetto a rotture in caso di urto accidentale. Va a riguardo ribadito che, anche a seguito delle modifiche dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), introdotte dalla L. n. 46 del 2006, art. 3 non è consentito dedurre il ‘travisamento del fatto’, stante la preclusione per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito (Cass. n. 27429/2006, Rv. 234559, Lobriglio; Sez. 5, Sentenza n. 39048/2007, Rv. 238215, Casavola). La nuova disciplina consente di dedurre il vizio di ‘travisamento della prova’, che ricorre nel caso in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale, sempreché la difformità risulti decisiva. In ogni caso anche a voler diversamente qualificare il vizio denunciato resta il fatto che il M. , per la posizione rivestita, aveva il compito non di scegliere il ‘male minore’, ma di predisporre un’apparecchiatura assolutamente esente da potenziali rischi, tanto più ove questi erano stati preventivamente individuati. Con il terzo motivo di gravame il ricorrente sostiene che nessun obbligo gravava sulla Y.  in quanto non era tale società ad essere la produttrice del dispositivo medico in questione e che comunque egli non poteva essere ritenuto responsabile dell’eventuale negligenza dell’A. – cui era demandata in virtù di apposito contratto di appalto la distribuzione degli apparecchi di ossigenoterapia- nello svolgimento del proprio lavoro. Osserva a riguardo la Corte: al M. non è stata contestata la produzione dell’apparecchiatura medicale in questione, pacificamente posta in essere dalla X.  S.p.A., bensì l’aver dotato l’ossigenatore P.   Inc. fornito dalla propria società alla casa di cura X. del kit umidificatore prodotto dalla X.  privo dei requisiti di sicurezza e del relativo manuale di istruzione nonché l’aver provveduto alla sua distribuzione al paziente senza curare che la stessa avvenisse mediante personale specializzato e fornendo tutte le istruzioni necessarie al corretto utilizzo del macchinario. Il motivo di gravame nella sua prima parte appare pertanto assolutamente inconferente. Quanto alle concorrenti negligenze dell’A. , le stesse non escludono comunque la posizione di garanzia del M. , quale distributore dell’apparecchiatura medicale e derivante in primo luogo dall’errata scelta di assemblaggio del kit umidificatore con l’impianto ossigenatore da lui prodotto. Con il quarto motivo di gravame il M. deduce la violazione di legge in riferimento all’art. 114 c.p..

Anche tale motivo è infondato: come precisato da questa Corte, infatti, (Sez. 4, n. 11908 del 5 giugno 1991, Scavella, RV 191224) l’attenuante di cui all’art. 114 c.p. può essere concessa nei delitti colposi solo nel caso di cooperazione colposa ex art. 113 c.p. e non anche nella fattispecie del tutto diversa, quale sì versa nel caso di specie, del concorso causale di condotte colpose indipendenti in cui manca la necessaria e reciproca consapevolezza dei cooperanti di contribuire alla condotta altrui.

Con il quinto ed ultimo motivo il M. deduce la illogicità, contraddittorietà e carenza della motivazione della gravata sentenza, laddove non è stato ritenuto meritevole delle attenuanti generiche.

Anche tale motivo è infondato: ed invero ai fini della concessione o del diniego delle circostanze attenuanti generiche, è sufficiente che il giudice di merito prenda in esame, tra gli elementi indicati dall’articolo 133 c.p., quello (o quelli) che ritiene prevalente e atto a consigliare o meno la concessione del beneficio; e il relativo apprezzamento discrezionale, laddove supportato da una motivazione idonea a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l’adeguamento della pena concreta alla gravità effettiva del reato ed alla personalità del reo, non è censurabile in sede di legittimità se congruamente motivato. Ciò vale, a fortiori, anche per il giudice d’appello, il quale, pur non dovendo trascurare le argomentazioni difensive dell’appellante [qui, per vero, giudicate ‘generiche’], non è tenuto ad un’analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti, ma, in una visione globale di ogni particolarità del caso, è sufficiente che dia l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti e decisivi ai fini della concessione o del diniego, rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, pur in carenza di stretta contestazione (v., tra le tante, Sezione 3, 8 ottobre 2009, Esposito): il giudice si è attenuto a tale principio valorizzando negativamente, tra i criteri valutativi tratteggiati dall’articolo 133 c.p., quello dei precedenti, considerato, in modo qui incensurabile come assorbente ai fini del diniego.

8. Infondato è infine anche il ricorso dell’A. , per la cui posizione si rinvia alle considerazioni già svolte quanto alla insussistenza nel comportamento della B. di una causa sopravvenuta da sola sufficiente a causare il decesso del D.M. , alla ritenuta esclusione della diminuente di cui all’art. 114 c.p. ed alla mancata concessione delle attenuanti generiche.

9. Alla luce delle considerazioni che precedono, dunque, immune da vizi logici, in quanto aderente ai risultati probatori è l’affermazione della Corte distrettuale secondo cui il decesso del D.M. è stato causato da un concorso di cause colpose indipendenti, mentre il tentativo di addossare l’esclusiva responsabilità dell’accaduto alla B. o comunque il palleggiamento di responsabilità tra gli odierni ricorrenti, si mostra, in punto di diritto, come mero espediente difensivo. Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché, in solido fra loro alla rifusione in favore della costituita parte civile delle spese di questo giudizio che liquida in Euro 3000,00, oltre I.V.A. e C.P.A. nella misura di legge.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali, nonché, in solido fra loro alla rifusione in favore della costituita parte civile delle spese di questo giudizio che liquida in Euro 3000,00, oltre I.V.A. e C.P.A. nella misura di legge.