Il giudice dell’udienza preliminare ha dichiarato non doversi procedere, per non costituire il fatto reato, nei confronti di due medici in ordine al delitto di falso ideologico previsto e punito dall’art. 479 del codice penale.

Ai due sanitari, uno libero professionista e l’altro convenzionato ASL, veniva contestato di avere il primo sostituito di fatto il secondo in visite non comunicate all’Azienda ed apponendo falsamente la propria sigla su ricette e prescrizioni redatte con l’uso di timbri e ricettari forniti dal secondo.

Cassazione Penale – Sez. V; Sent. n. 48803 del 05.12.2013 

Con la sentenza impugnata, il Giudice dell’udienza preliminare presso il Tribunale di Lucca dichiarava non doversi procedere per non costituire il fatto reato nei confronti di X.  X.  e Y.  Y.  Y.  in ordine al delitto di cui all’art. 479 cod. pen., contestato come commesso in X.  fino al 21/11/2011 dal X.  quale medico libero professionista è dal Y.  quale medico convenzionato con la ASL di Y. , il primo sostituendo di fatto il secondo in visite non comunicate all’Azienda ed apponendo falsamente la propria sigla su ricette e prescrizioni redatte con l’uso di timbri e ricettari fornitigli dal Y. .

 

Il Procuratore della Repubblica ricorrente deduce violazione di legge nell’attribuzione di rilevanza, ai fini dell’assoluzione degli imputati, alla ritenuta assenza di un movente, in realtà estraneo al dolo generico che contraddistingue il reato contestato, ed illogicità della motivazione nella qualificazione come innocuo di un falso risoltosi nell’emissione di ricette e prescrizioni falsamente riconducibili al medico convenzionato Y. , con le relative conseguenze in tema di eventuali contestazioni di ipotesi di danno erariale o di colpa professionale.

Nell’interesse degli imputati sono state depositate memorie a sostegno della richiesta di rigetto del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è fondato.

Va preliminarmente segnalata l’insussistenza della ragione di inammissibilità del ricorso indicata dalla difesa dell’imputato X. , per la quale il gravame non contesterebbe l’argomentazione della sentenza impugnata in ordine alla riconducibilità dei fatti ad una mera leggerezza o negligenza degli imputati. Il punto infatti è implicitamente toccato dal ricorrente sia sotto il profilo dell’irrilevanza dell’assenza di un movente che per quello dell’esclusione dell’innocuità del falso, nel momento in cui entrambi gli ordini di considerazioni si fondano sull’esistenza di oggettivi connotati di falsità degli atti e di conseguenze lesive degli stessi e sulla sufficienza, ai fini della configurabilità del reato contestato, della consapevolezza di tali caratteri, il cui accertamento è evidentemente incompatibile con la ravvisabilità di un atteggiamento di negligenza o leggerezza che cada sulla condotta penalmente rilevante.

Tanto premesso, e rilevata la correttezza dell’osservazione del ricorrente per il quale l’elemento psicologico dei reati di falso si sostanzia nel dolo generico (Sez. 5, n. 15255 del 15/03/2005, Scarciglia, Rv. 232138; Sez. 5, n. 29764 del 03/06/2010, Zago, Rv. 248264), altrettanto corretta è di conseguenza la censura di estraneità alla previsione normativa incriminatrice delle osservazioni della sentenza impugnata in ordine alla mancanza negli imputati di un movente, e segnatamente di un fine di vantaggio del X.  nel fornire ai pazienti un servizio agli stessi comunque dovuto.

Determinante, sia per questo aspetto che per quello della prospettata innocuità delle condotte di falso, è invece il fatto che, come affermato nella stessa sentenza oggetto di gravame, il X. , effettivo autore delle visite, apponeva una sigla illeggibile su ricette fornite dal Y.  e recanti i timbri e le intestazioni di quest’ultimo. Nell’affermare che, così operando, il X.  ed il Y.  avrebbero agito senza la coscienza e la volontà di immutare il vero, e comunque al più concorso nell’attestare circostanze che non incidevano sulla funzione / probatoria degli atti, il giudice di merito trascurava infatti di valutare, per un verso, la consapevolezza degli imputati di dar luogo ad una situazione documentale che rappresentava le visite e le conseguenti prescrizioni come effettuate dal medico convenzionato Y. , per quanto attestato dai timbri e dalle intestazioni, e non dal libero professionista X. ; e, per altro, la significatività di tale circostanza nella funzione attestativa degli atti, che in linea generale comprende anche i necessari presupposti di fatto della realtà documentata (Sez. 5, n. 34333 del 12/04/2005, Aurea, Rv. 232316; Sez. 5, n.7718 del 13/01/2009, Fondazione Centro S. Raffaele Del M.t., Rv. 242569), e per la quale nel caso specifico non poteva che essere rilevante, nel giudizio sulla concreta offensività della condotta nei confronti del bene della pubblica fede, l’indicazione dell’identità fisica del medico responsabile delle prescrizioni, tenuto , conto delle implicazioni anche in tal caso correttamente segnalate dal ricorrente rispetto ad eventuali contestazioni sull’operato del sanitario.

Inconferente è il richiamo, contenuto nella memoria presentata nell’interesse dell’imputato Y. , al caso del medico che utilizzi, su certificazioni o prescrizioni, il timbro recante il nominativo di altro medico convenzionato, omettendo di aggiungervi il proprio timbro personale, deciso da questa Corte nel senso dell’esclusione della responsabilità penale (Sez. 2, n. 38333 del 12/07/2001, Giunta, Rv. 220340). Rispetto a tale fattispecie, peraltro relativa alla contestazione del diverso reato di uso abusivo di strumenti di pubblica autenticazione di cui all’art. 471 cod. pen., la situazione in esame presenta infatti l’aspetto caratterizzante dell’apposizione, da parte del X. , di una sigla illeggibile sul timbro del Y. , tale da ingenerare la falsa rappresentazione della riconducibilità al secondo della sottoscrizione e dunque della visita.

Non possono evidentemente essere affrontate in questa sede le ulteriori considerazioni della memoria difensiva del Y.  in ordine alla possibilità che questi non fosse consapevole delle contestate modalità operative del coimputato, tema non affrontato dalla sentenza impugnata, fermatasi alle censurate osservazioni sull’offensività del fatto e la consapevolezza della stessa da parte degli imputati; aspetti sui quali si impone l’annullamento della sentenza impugnata, con rinvio al Tribunale di Lucca per un nuovo esame nella particolare prospettiva propria della sentenza emessa ai sensi dell’art. 425 cod. proc. pen., nella quale il proscioglimento si giustifica solo in presenza di una prognosi di inutilità del dibattimento rispetto alla possibilità di un’evoluzione del materiale probatorio raccolto in una direzione favorevole all’accusa (Sez. 2, n. 35178 del 03/07/2008, Brunetti, Rv.242092; Sez. 5, n.22864 del 15/05/2009, Giacomin, Rv. 244202).

P. Q. M.

Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Lucca. Così deciso in Roma il 09/10/2013

Depositata in Cancelleria, addì 5 dic 2013