integra l’ipotesi delittuosa contemplata dall’art. 328, comma primo, codice penale, il rifiuto di procedere al ricovero ospedaliero di un malato, opposto dal medico responsabile del reparto, esclusivamente se il ricovero doveva ritenersi indifferibile per la sussistenza di un effettivo pericolo di conseguenze dannose alla salute della persona. Ne discende che non tutte le omissioni di ricovero ospedaliero da parte del medico di turno integrano la su indicata fattispecie incriminatrice, ma soltanto quelle legate ad una situazione di indifferibilità, in cui l’urgenza del ricovero sia effettiva e reale, per il pericolo di conseguenze dannose alla salute della persona, pericolo da valutare in base alle indicazioni fornite dall’esperienza medica, tenendo conto, ovviamente, delle peculiari caratteristiche e delle specificità di ogni singolo caso concreto.

Cassazione Penale – Sez. VI; Sent. n. 45844 del 05.11.2014

Svolgimento del processo 

1. Con sentenza del 28 ottobre 2013 la Corte d’appello di Reggio Calabria ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Reggio Calabria in data 15 giugno 2011, che dichiarava G.B. F.M. colpevole del reato di cui all’art. 328 c.p., comma 1, condannandolo alla pena di mesi sei di reclusione e al risarcimento dei danni in favore della parte civile, con i benefici della sospensione condizionale e della non menzione, per avere, nella sua qualità di medico di turno presso il reparto di pronto soccorso degli Ospedali riuniti di Reggio Calabria, indebitamente rifiutato di visitare il paziente Ga.Or., ivi giunto il X.  in gravi condizioni a seguito di un sinistro stradale, e di redigere conseguentemente il verbale di consulenza chirurgica prodromico al suo ricovero presso il reparto di chirurgia d’urgenza.

2. Avverso la su indicata pronunzia ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, deducendo due motivi di doglianza il cui contenuto viene di seguito illustrato.

2.1. Violazioni di legge e vizi motivazionali con riferimento agli artt. 43, 51 e 47 c.p., nonchè all’art. 533 c.p.p., non avendo la Corte d’appello considerato la censura difensiva secondo cui l’imputato, rifiutandosi di codificare il paziente, proveniente dal pronto soccorso di un altro nosocomio, all’insorgere di nuove patologie successive ai primi accertamenti concordati dall’Ospedale inviante di Scilla, si è attenuto a prassi consolidate, della cui esistenza erano al corrente tutti i medici che hanno avuto parte nella vicenda in esame.

Esistono, infatti, fonti regolamentari diffuse a livello nazionale (ad es., il protocollo dei trasferimenti secondari dell’azienda sanitaria dell’Alto Adige) e prassi consolidate, secondo cui il paziente interessato da un trasferimento “secondario” resta sempre in carico al medico “inviante”, sino a quando, esaurite le indagini cliniche, non ritorni al presidio ospedaliero di partenza (punto, questo, comprovato dalle deposizioni di tutti i sanitari escussi nel corso dell’istruttoria).

Nel caso in esame, del resto, il pronto soccorso dell’Ospedale di Scilla aveva coordinato la prima diagnosi, ossia la TAC cerebrale, direttamente con il reparto di neurochirurgia di X. , senza interpellare il pronto soccorso di Reggio: non è comprensibile, dunque, il motivo per cui, dinanzi a nuove esigenze diagnostiche, evidenziate allo stesso Ospedale di X.  dai dottori I., P. e Pa., l’Ospedale inviante non abbia preso i dovuti contatti con il nuovo reparto (chirurgia d’urgenza), pur comportando tale ulteriore adempimento un minimo sforzo organizzativo.

Ne consegue che il rifiuto del G. ha trovato la sua giustificazione nelle fonti regolamentari o nella prassi consolidata in uso nel sistema sanitario, mancando del tutto nel suo comportamento la consapevole volontà di operare in violazione dei doveri impostigli, atteso che egli riteneva che l’atto richiesto, e da lui omesso, esulasse dalle proprie competenze.

2.2. Violazioni di legge e vizi motivazionali con riferimento all’art. 62 bis c.p., e art. 533 c.p.p., avendo la Corte d’appello erroneamente negato la concessione delle attenuanti generiche, le quali invece avrebbero dovuto essere riconosciute, tenendo conto, in particolare, della scarsa gravità del reato e delle sue conseguenze, del corretto comportamento processuale dell’imputato, dell’assenza di precedenti penali e della sua competenza professionale.

Motivi della decisione

3. Il ricorso è inammissibile, in quanto sostanzialmente orientato a riprodurre una serie di argomenti – già prospettati in sede di appello e nel giudizio di primo grado – che risultano, tuttavia, ampiamente vagliati e correttamente disattesi dai Giudici di merito, ovvero a sollecitare una rivisitazione meramente fattuale delle risultanze processuali, incentrandola sul presupposto di una valutazione alternativa delle fonti di prova, e in tal modo richiedendo l’esercizio di uno scrutinio improponibile in questa Sede, a fronte della linearità e della logica conseguenzialità che caratterizzano i passaggi motivazionali della decisione impugnata.

Il ricorso, dunque, non è volto a censurare mancanze argomentative ed illogicità ictu oculi percepibili, bensì ad ottenere un non consentito sindacato su scelte valutative compiutamente giustificate dal Giudice di appello, che ha adeguatamente ricostruito il compendio storico-fattuale posto a fondamento del tema d’accusa.

In tal senso, infatti, la Corte territoriale, sulla base di quanto sopra esposto in narrativa, ha proceduto ad un vaglio critico di tutte le deduzioni ed obiezioni mosse dalla difesa, pervenendo alla decisione impugnata attraverso una disamina completa ed approfondita delle risultanze processuali.

Nel condividere il significato complessivo del quadro probatorio posto in risalto nella sentenza del Giudice di primo grado, la cui motivazione viene a saldarsi perfettamente con quella d’appello, sì da costituire un compendio argomentativo uniforme e privo di lacune, la Corte di merito ha puntualmente disatteso la diversa ricostruzione prospettata dalla difesa, ponendo in evidenza, segnatamente: a) che Ga.Or., dopo essere rimasto coinvolto in un incidente stradale, veniva trasportato in ambulanza presso il pronto soccorso dell’Ospedale di X. , dove, all’esito di una diagnosi di politrauma cagionato dal sinistro, non veniva preso in carico, ravvisandosi la necessità di un esame clinico (TAC cerebrale) che non poteva essere effettuato presso quel nosocomio per mancanza delle relative strutture; b) che il paziente, in seguito ad una formale richiesta del medico del pronto soccorso dell’Ospedale di provenienza, Dott. C., veniva quindi condotto in ambulanza presso gli Ospedali riuniti di X. , accompagnato dai dottori P. e Pa., e indirizzato direttamente presso il reparto di neurochirurgia per effettuare il predetto accertamento, senza transitare nel locale pronto soccorso; c) che in seguito all’espletamento del predetto esame, che si concludeva con esito negativo, il paziente lamentava improvvisi e forti dolori nella regione pelvico-addominale; d) che a fronte di tale situazione di urgenza, i medici Pa. e P., considerato che il Ga. aveva da poco subito un evento traumatico e poteva riportare lesioni interne, ravvisavano la necessità di ulteriori accertamenti, prospettando all’imputato, quale medico di turno della sala chirurgica del pronto soccorso, un ricovero del paziente presso il reparto di chirurgia d’urgenza e rappresentandogli la situazione affinchè effettuasse la visita necessaria per l’accettazione nel reparto competente; e) che l’imputato rifiutava di visitare il paziente e di redigere il verbale di consulenza chirurgica necessario per il ricovero presso il nosocomio di X. , sostenendo che il Ga. fosse ivi giunto solo per eseguire la TAC, con la conseguenza che, secondo il protocollo operativo, egli sarebbe dovuto rientrare nell’Ospedale di provenienza, e solo all’esito di una ulteriore richiesta da parte di tale presidio sanitario, avrebbe potuto essere ricoverato presso gli Ospedali riuniti; f) che il rifiuto opposto dall’imputato, peraltro, veniva superato dai medici Pa. e P. con l’intervento della Dott.ssa I., medico che gestiva la centrale operativa del “118”, mediante l’accettazione del paziente al “Triage” ed il suo trasporto direttamente nel competente reparto di chirurgia d’urgenza; g) che l’infermiera S., la quale aveva provveduto a registrare i dati identificativi del Ga., li cancellava successivamente per soddisfare l’espressa richiesta del G., il quale non voleva prendere in carico il paziente.

4. Muovendo da tali premesse, e in replica alle obiezioni difensive, la Corte distrettuale ha inoltre osservato: a) da un lato, che la denunzia presentata dal fratello dell’imputato, Ga.Am., ha trovato puntuale riscontro nelle deposizioni dell’agente scelto R., dell’infermiera S. e dei medici P. ed I., che hanno univocamente riferito del rifiuto, opposto dall’imputato, di visitare il paziente nonostante gli fosse stata rappresentata la sopravvenuta situazione d’urgenza in cui egli versava; b) dall’altro lato, che la deposizione resa dalla teste Pa., secondo cui il G. avrebbe detto di portare il paziente nel reparto di chirurgia, non poteva ritenersi attendibile, ponendosi in radicale contrasto con il complesso delle su indicate emergenze processuali ed apparendo la stessa completamente divergente dal contenuto delle dichiarazioni precedentemente rese dalla teste in sede di sommarie informazioni.

La Corte d’appello, pertanto, ha coerentemente concluso il suo ragionamento, ponendo in evidenza, per un verso, che la necessità di ricoverare il paziente in chirurgia d’urgenza costituiva un dato univocamente asseverato da tutti i medici che ebbero modo di visitare la persona offesa, tranne dall’imputato, che rifiutò di visitarlo, e, per altro verso, che la situazione d’urgenza che rendeva necessario il trasporto del paziente al pronto soccorso per poterlo poi avviare al reparto di chirurgia al fine di verificare se vi fossero lesioni interne causate dal grave incidente stradale di cui era rimasto vittima, si era verificata ex novo al momento della permanenza del Ga. presso il presidio ospedaliero di X. , ed era insorta durante o subito dopo l’espletamento della TAC cerebrale, tanto da determinare il dr. V., primo ad accorgersi del malore, ad informare i parenti della necessità di condurlo al pronto soccorso per un vero e proprio ricovero.

5. Al riguardo, è agevole rilevare come l’impugnata sentenza abbia fatto buon governo del quadro di principii, più volte stabiliti da questa Suprema Corte (Sez. 6, n. 27840 del 09/06/2009, dep. 07/07/2009, Rv. 244416), secondo cui, in tema di rifiuto di atti di ufficio, il carattere di urgenza dell’atto rifiutato ben può essere apprezzato tenendo conto del tenore e della provenienza delle richieste formulate al soggetto attivo.

Il rifiuto di un atto d’ufficio, invero, si verifica non solo a fronte di una richiesta o di un ordine, ma anche quando sussista un’urgenza sostanziale, impositiva del compimento dell’atto, in modo tale che l’inerzia del pubblico ufficiale assuma, per l’appunto, la valenza del consapevole rifiuto dell’atto medesimo (Sez. 6, n. 4995 del 07/01/2010, dep. 08/02/2010, Rv. 246081).

In relazione alla vicenda storico-fattuale oggetto del tema d’accusa deve pertanto ribadirsi la linea interpretativa tracciata da questa Suprema Corte (cfr. Sez. 6, n. 46512 del 15/10/2009, dep. 03/12/2009, Rv. 245333; Sez. 6, n. 9493 del 02/05/1995, dep. 08/09/1995, Rv.

202276), secondo cui integra l’ipotesi delittuosa contemplata dall’art. 328, comma primo, cod. pen., il rifiuto di procedere al ricovero ospedaliero di un malato, opposto dal medico responsabile del reparto, esclusivamente se il ricovero doveva ritenersi indifferibile per la sussistenza di un effettivo pericolo di conseguenze dannose alla salute della persona.

Ne discende che non tutte le omissioni di ricovero ospedaliero da parte del medico di turno integrano la su indicata fattispecie incriminatrice, ma soltanto quelle legate ad una situazione di indifferibilità, in cui l’urgenza del ricovero sia effettiva e reale, per il pericolo di conseguenze dannose alla salute della persona, pericolo da valutare in base alle indicazioni fornite dall’esperienza medica, tenendo conto, ovviamente, delle peculiari caratteristiche e delle specificità di ogni singolo caso concreto.

Sotto altro, ma connesso profilo, come si è già avuto modo di rilevare in questa Sede (Sez. 6, n. 3956 del 12/03/1985, dep. 24/04/1985, Rv. 168874), il potere demandato al sanitario di decidere sulla necessità del ricovero e sulla destinazione del paziente non può prescindere dal dovere di formulare una diagnosi o, comunque, di accertare le reali condizioni di chi, lamentando un grave stato di sofferenza, solleciti l’intervento del servizio di pronto soccorso;

ne consegue che il rifiuto di effettuare la visita medica, nelle predette circostanze, non integra una valutazione discrezionale del medico, ma si risolve in un indebito comportamento omissivo.

Di tali principii i Giudici di merito hanno fatto corretta applicazione, laddove hanno puntualmente evidenziato il manifestarsi di una oggettiva situazione di necessità ed urgenza, chiaramente rappresentativa di uno stato di emergenza sostanziale, palesato dai sopravvenuti, gravi ed improvvisi dolori addominali accusati da un paziente con diagnosi di politrauma da incidente stradale: una situazione, dunque, foriera di possibili conseguenze negative per la salute del paziente, cui non poteva opporsi alcun comportamento dilatorio, nè un rifiuto avanzato sulla base del generico e formalistico richiamo a disposizioni regolamentari o a protocolli operativi – la cui applicabilità nel caso di specie, peraltro, non risulta esser stata neanche provata – secondo cui l’Ospedale che per primo prende in carico il paziente deve seguirlo per tutta la durata della degenza e deve coordinare tutti gli accertamenti del caso.

La situazione venutasi a creare nel caso in esame, infatti, non solo era connotata da un pericolo effettivo di grave danno per la salute del paziente, ma era diversa e sopravvenuta rispetto alle esigenze che avevano inizialmente determinato il suo trasferimento da un Ospedale, privo dei mezzi tecnici necessari, ad un altro più attrezzato, dove si era in seguito manifestato con assoluta evidenza un nuovo stato patologico, determinando in tal modo la necessità di atti indifferibili a tutela della salute, che imponevano un intervento immediato da parte del medico di turno del pronto soccorso, tanto più ove si consideri che egli era stato pienamente messo a conoscenza della situazione in cui il paziente versava.

6. La Corte d’appello, pertanto, ha compiutamente indicato le ragioni per le quali ha ritenuto sussistenti gli elementi richiesti per la configurazione dell’ipotesi delittuosa oggetto del tema d’accusa, ed ha evidenziato al riguardo gli aspetti maggiormente significativi, dai quali ha tratto la conclusione che la ricostruzione proposta dalla difesa si poneva solo quale mera ipotesi alternativa, peraltro smentita dal complesso degli elementi di prova processualmente acquisiti.

La conclusione cui è pervenuta la sentenza impugnata riposa, in definitiva, su un quadro probatorio linearmente rappresentato come completo ed univoco, e come tale in nessun modo censurabile sotto il profilo della congruità e della correttezza logico – argomentativa.

In questa Sede, invero, a fronte di una corretta ed esaustiva ricostruzione del compendio storico – fattuale oggetto della regiudicanda, non può ritenersi ammessa alcuna incursione nelle risultanze processuali per giungere a diverse ipotesi ricostruttive dei fatti accertati nelle pronunzie dei Giudici di merito, dovendo la Corte di legittimità limitarsi a ripercorrere i passaggi motivazionali ivi delineati, ed a verificarne la completezza e la insussistenza di vizi logici ictu oculi percepibili, senza alcuna possibilità di verifica della rispondenza della motivazione al contenuto delle correlative acquisizioni processuali.

7. Inammissibili, infine, devono ritenersi le censure difensive prospettate in relazione al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, poichè la Corte distrettuale ha specificamente indicato, con motivazione congrua ed immune da vizi logico-giuridici, le ragioni giustificative del suo apprezzamento, incentrato su una valutazione di merito riguardo alla specifica gravità del comportamento tenuto nel caso in esame, come tale non assoggettabile a sindacato in questa Sede, ponendosi, di contro, le deduzioni difensive sul punto formulate nella mera prospettiva di accreditare una diversa ed alternativa valutazione in ordine alla sussistenza dei presupposti fattuali che giustificherebbero la concessione delle invocate attenuanti.

Nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, d’altronde, non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli, come avvenuto nel caso in esame, faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 6, n. 34364 del 16/06/2010, dep. 23/09/2010, Rv. 248244).

8. Per le considerazioni su esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento alla Cassa delle ammende di una somma che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo quantificare nella misura di Euro mille.

Da tale pronuncia discendono, altresì, le correlative statuizioni di seguito espresse in ordine alla rifusione delle spese del grado in favore della costituita parte civile, la cui liquidazione viene operata secondo l’importo in dispositivo meglio enunciato.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende, nonchè a rifondere le spese sostenute dalla parte civile che liquida in Euro 3.000,00, oltre IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 30 settembre 2014.

Depositato in Cancelleria il 5 novembre 2014