In tema di accertamenti concernenti la verifica delle condizioni psico – fisiche dei conducenti di autoveicoli coinvolti in incidenti stradali e della loro utilizzabilità processuale, con riguardo alle ipotesi di guida in stato di ebbrezza alcolica, si è affermato che i risultati del prelievo ematico, non preordinato ai fini di prova della responsabilità penale ma effettuato, secondo i normali protocolli medici di pronto soccorso, durante il ricovero in una struttura ospedaliera a seguito di incidente stradale, sono certamente utilizzabili ai fini dell’accertamento del reato di guida in stato di ebbrezza alcolica, trattandosi di elementi di prova acquisiti attraverso la documentazione medica, irrilevante dovendo ritenersi, in tali casi, la mancanza del consenso dell’interessato.

E’ stato, quindi, anche affermato che i prelievi non necessari a fini terapeutici, effettuati in assenza di consenso dell’interessato, sono inutilizzabili, per violazione del diritto, costituzionalmente garantito, di inviolabilità della persona.

Applicando tali principi alla ipotesi di guida in stato di alterazione psico – fisica determinata dall’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope, cioè un’ipotesi di reato del tutto simile a quella della guida in stato di ebbrezza alcolica, deve osservarsi che, non risultando, nel caso specifico esaminato, che il prelievo delle urine fosse necessario a fini terapeutici, legittimamente l’imputato lo ha rifiutato. Tra l’altro il prelievo avrebbe dovuto eseguirsi tramite cateterizzazione vescicale, cioè con un metodo invasivo e doloroso al quale egli aveva tutto il diritto di opporsi.

Cassazione Penale – Sez. IV; Sent. n. 10136 del 03.03.2014 

Svolgimento del processo

1- C.A. ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte d’Appello di Genova, del 28 febbraio 2013, che ha confermato la sentenza del Tribunale di Chiavari, del 21 novembre 2011, che lo ha ritenuto colpevole dei reati di guida in stato di ebbrezza alcolica (tasso alcolemico rilevato pari a 1,25 g/1), aggravato dall’aver provocato un incidente stradale, e di rifiuto di sottoporsi agli accertamenti diretti a verificare l’eventuale presenza di sostanze stupefacenti o psicotrope (art. 186 C.d.S., comma 2, lett. b), e comma 2 bis, art. 187 C.d.S., comma 8), e lo ha condannato, ritenuta la continuazione tra i reati, alla pena di mesi nove di arresto ed Euro 4.500,00 di ammenda, con sospensione della patente di guida per un anno.

2 – Deduce il ricorrente;

a) Nullità del dibattimento di primo grado, omesso esame del motivo di gravame concernente l’invalidità dell’elezione di domicilio dell’imputato per la mancata indicazione del domiciliatario;

b) Nullità del dibattimento d’appello, essendo stato il C. citato davanti alla corte territoriale con notifica al domicilio eletto presso il difensore di fiducia;

c) Omesso esame del motivo di gravame concernente la legittimità del rifiuto opposto dall’imputato a sottoporsi a trattamento invasivo e doloroso (cateterizzazione vescicale) per la ricerca di tracce di stupefacenti nelle urine.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato nei termini de seguito precisati.

1 – Il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato ed aspecifico.

Già nell’atto di appello era stata proposta analoga doglianza, laddove è stato rilevato, non solo che nell’atto di elezione del domicilio mancavano le generalità del domiciliatario, ma anche che vi era motivo per dubitare che l’imputato, ricoverato in ospedale, fosse nelle condizioni di eleggere il domicilio.

Sul punto, la corte territoriale ha esaurientemente argomentato, rilevando, da un lato, che dall’atto di elezione di domicilio risultavano, in realtà, le generalità del domiciliatario, individuato nel difensore d’ufficio contestualmente nominato (che lo ha, peraltro, assistito per tutte le fasi del giudizio, compreso quello di cassazione), dall’altro, che non vi era motivo per dubitare della pienezza delle facoltà psico-fisiche del C., essendosi egli mostrato, pur dopo l’incidente, ben orientato e vigile, tanto da avere correttamente declinato le proprie generalità e da avere rifiutato il ricovero presso l’ospedale ove era stato trasportato.

A tali considerazioni nulla ha obiettato il ricorrente, che si è limitato a riproporre la medesima doglianza senza tener conto delle considerazioni svolte dal giudice.

2 – Ugualmente infondato è il secondo motivo di ricorso.

Occorre in proposito osservare che, in tema di notificazione del decreto di citazione a giudizio, questa Corte, anche a SS.UU. (n. 119/2005, Palumbo), ha da tempo costantemente affermato che l’imputato, ove anche intenda proporre l’eccezione di nullità assoluta dell’atto, ai sensi dell’art. 179 c.p.p., “non può limitarsi a denunciare la mera inosservanza della norma processuale, ma deve anche rappresentare al giudice di non avere avuto conoscenza dell’atto e deve altresì avvalorare l’affermazione con elementi che la rendano credibile”. Ciò in considerazione del fatto che spetta alla parte di sollecitare l’esercizio dei poteri officiosi del giudice, quando dagli atti non risultano gli elementi necessari per l’esercizio di quei poteri e solo le parti sono in grado di rappresentarli al giudice.

Orbene, nel caso in esame, in cui è in discussione una nullità non assoluta, ma a regime intermedio in quanto relativa, non alla regolare costituzione del rapporto processuale, bensì alla conoscenza del provvedimento oggetto di notifica, il ricorrente, non solo non ha allegato al ricorso gli atti dai quali risulterebbe modificata l’originaria elezione di domicilio presso il difensore, con indicazione del nuovo, ma non si è curato di specificare se e quale concreta lesione dei suoi diritti egli abbia patito dalla notificazione dell’atto presso lo studio del difensore di fiducia invece che nel domicilio dichiarato. Precisazione doverosa atteso che, in considerazione del rapporto fiduciario intercorrente tra il difensore e l’imputato, e del dovere del primo di mantenere contatti con il suo assistito, tale modalità di notifica non si presenta certo inidonea a determinare l’effettiva conoscenza dell’atto da parte dell’imputato medesimo. D’altra parte, nello stesso atto di ricorso, sottoscritto dal difensore, l’esponente non indica alcuna ragione per la quale sia stato impossibile informare l’imputato della avvenuta notifica del medesimo atto presso lo studio professionale.

Oltre che manifestamente infondato, il motivo proposto si presenta, quindi, anche generico.

3 – Fondata è, viceversa, l’ultima doglianza.

La giurisprudenza di questa Corte, in tema di accertamenti concernenti la verifica delle condizioni psico – fisiche dei conducenti di autoveicoli coinvolti in incidenti stradali e della loro utilizzabilità processuale con riguardo alle ipotesi di guida in stato di ebbrezza alcolica, ha condivisibilmente affermato che i risultati del prelievo ematico, non preordinato ai fini di prova della responsabilità penale ma effettuato, secondo i normali protocolli medici di pronto soccorso, durante il ricovero in una struttura ospedaliera a seguito di incidente stradale, sono certamente utilizzabili ai fini dell’accertamento del reato di guida in stato di ebbrezza alcolica, trattandosi di elementi di prova acquisiti attraverso la documentazione medica, irrilevante dovendo ritenersi, in tali casi, la mancanza del consenso dell’interessato.

E’ stato, quindi, anche affermato che i prelievi non necessari a fini terapeutici, effettuati in assenza di consenso dell’interessato, sono inutilizzabili, per violazione del diritto, costituzionalmente garantito, di inviolabilità della persona (Cass. nn. 38537/07, 4118/09, 26108/12, 6755/13).

Applicando tali principi alla vicenda oggi in esame, concernente la guida in stato di alterazione psico – fisica determinata dall’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope, cioè un’ipotesi di reato del tutto simile a quella della guida in stato di ebbrezza alcolica, deve osservarsi che, non risultando che il prelievo delle urine fosse necessario a fini terapeutici, legittimamente il C. ha rifiutato il prelievo che, peraltro, avrebbe dovuto eseguirsi tramite cateterizzazione vescicale, cioè con un metodo invasivo e doloroso al quale egli aveva tutto il diritto di opporsi. Rifiuto legittimamente opposto anche perchè non risulta che il personale operante abbia preventivamente verificato la disponibilità dell’imputato di sottoporsi ad accertamenti meno invasivi, secondo le modalità descritte nell’art. 187 C.d.S..

Deve quindi dichiararsi, con riguardo al reato di cui all’art. 187 C.d.S., comma 8, contestato sub capo B) della rubrica, previo annullamento senza rinvio, sul punto, della sentenza impugnata, che il fatto non sussiste; con rigetto, nel resto, del ricorso.

4 – Consegue a tale decisione la rideterminazione della pena inflitta dai giudici del merito, alla quale può direttamente procedere questa Corte, ai sensi dell’art. 620 c.p.p., lett. l), eart. 621 c.p.p., eliminando la frazione di pena inflitta, per il reato sub B), a titolo di continuazione – un mese di arresto e 500,00 Euro di ammenda – e riducendo di sei mesi la durata della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida.

La pena deve quindi essere determinata, per il reato di guida in stato di ebbrezza alcolica (capo A), in otto mesi di arresto ed Euro 4.000,00 di ammenda, con sospensione della patente di guida per mesi sei, dovendosi ritenere che il giudice del merito abbia applicato sei mesi di sospensione per ciascuna violazione. 

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato previsto dall’art. 187 C.d.S., (capo B) perchè il fatto non sussiste.

Ridetermina, per il reato di cui all’art. 186 C.d.S., (capo A), la pena inflitta in mesi otto di arresto ed Euro 4.000,00 di ammenda e la sospensione della patente di guida in mesi sei.

Così deciso in Roma, il 5 novembre 2013.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2014