Col ricorso in esame, parte ricorrente – che, seguito di avviso pubblico della Regione Lombardia del 2013 per la presentazione delle domande di riconoscimento dell’equivalenza dei titoli di studio del pregresso ordinamento ai titoli universitari dell’area sanitaria di cui all’art. 6, comma 3, d.lgs. n. 502/92 e dell’Accordo Stato Stato/Regioni n. 17/CSR del 10 febbraio 2011, recepito con d.P.C.m. 26 luglio 2011 (G.U. n. 191 del 18.8.2011), aveva visto respingere dal Ministero della Salute, sulla scorta della conforme determinazione della Conferenza dei servizi appositamente convocata per l’esame, la propria domanda di riconoscimento dell’equivalenza del diploma di massaggiatore e massofisioterapista al titolo universitario di Fisioterapista in quanto il relativo corso formativo, pur conclusosi entro il 17 marzo 1999, era tuttavia iniziato dopo il 31 dicembre 1995 – impugna i provvedimenti meglio in epigrafe indicati, deducendo:

1) violazione e falsa applicazione del d.P.C.m. 26 luglio 2011 e, in particolare, degli artt. 5 e 3, comma 1, nonché dell’art. 4 della legge 26 febbraio 1999, n. 42; contraddittorietà, illogicità e carenza di motivazione. In sostanza, parte ricorrente: a) rappresenta di avere conseguito il diploma di massaggiatore e massofisioterapista a seguito di un corso biennale conclusosi prima del 17 marzo 1999, data di entrata in vigore della legge 26 febbraio 1999, n. 42 cui fa espresso riferimento l’avviso pubblico de quo, per cui la sua esclusione dalla procedura di equivalenza del titolo di cui è in possesso con quello universitario di fisioterapista a causa della mancata iscrizione a detto corso entro il 31 dicembre 1995, sarebbe non rispettosa della previsione normativa di un unico requisito legittimante; b) lamenta in conseguenza che l’art. 2 dell’avviso pubblico, il quale apparentemente richiedeva entrambi i requisiti temporali, andava in realtà letto in conformità al d.P.C.m. 26 luglio 2011, attuativo dell’art. 4, comma 2, della legge 26 febbraio 1999, n. 42, il quale in più punti (art. 1, comma 3, art. 5, art. 6, comma 1, lett. g), nel far riferimento a due distinti requisiti temporali legittimanti le domande per conseguire la detta equivalenza (cioè l’aver conseguito il titolo entro il 17 marzo 1999 e l’essersi iscritti a corsi iniziati prima del 31 dicembre 1995) regola chiaramente due distinte fattispecie, non concorrenti tra loro, l’una riferita alla previsione dell’art. 6, comma 3, del d.lgs. n. 502/1992 (che disponeva la soppressione dei corsi di studio previsti dal precedente ordinamento entro due anni decorrenti dal primo gennaio 1994) e l’altra applicativa della legge n. 42/1999, che consente l’accesso alla procedura di equivalenza a tutti coloro che, comunque, hanno conseguito il titolo entro il 17 marzo 1999; e ciò, anche tenuto conto del fatto che per i corsi in questione, di durata biennale, ove ritenuta necessaria l’iscrizione entro il 31 dicembre 1995, sarebbe stata priva di senso la previsione del termine di conseguimento del titolo entro il 17 marzo 1999; c) censura il fatto che la conferenza dei servizi convocata ai fini dell’esame della documentazione prodotta da parte ricorrente e che ha espresso il parere negativo posto a fondamento della nota di diniego oggi gravata, abbia sentito l’A.I.F.I. – Associazione Italiana Fisioterapisti; d) conclude propugnando una lettura del quadro normativo alla stregua della quale sarebbe sufficiente ai fini della valutabilità dei titoli il ricorrere di almeno uno (e non di entrambi) i requisiti temporali sopra specificati, ciò che peraltro sarebbe comprovato dalla previsione dell’art. 3, comma 1, lettera g), dell’avviso pubblico che, contrariamente a quanto previsto dall’art. 2, precluderebbe la valutabilità dei soli titoli di massofisioterapista conseguiti dopo l’entrata in vigore della legge 26 febbraio 1999, n. 42;

2) in via del tutto subordinata, in relazione all’avviso pubblico, violazione e falsa applicazione dell’art. 6 del d.lgs. n. 502 del 1992, dell’art. 1, comma 3, e dell’art. 5 del d.P.C.m. 26 luglio 2011, nonché dell’art. 4 della legge 26 febbraio 1999, n. 42 in riferimento al bando; violazione e falsa applicazione dell’art. 1367 c.c., nonché degli artt. 1 e 3 della legge n. 241 del 1990. In particolare, parte ricorrente lamenta l’ambiguità dell’art. 2 del bando, non rispondente ai requisiti di economicità e di efficacia della azione amministrativa, oltre che del principio di conservazione, ove interpretata nel senso fatto palese dall’Amministrazione, ragion per cui non ha ritenuto di impugnare il bando in quanto l’esclusione non sarebbe il frutto di una clausola immediatamente lesiva per la sua posizione, ma piuttosto l’effetto di una falsa interpretazione normativa operatane dall’Amministrazione centrale e, invece, non fatta propria da quella regionale che nulla aveva rilevato in proposito.

2. Si è difeso in giudizio il Ministero della salute il quale ha chiesto, in primo luogo, che il ricorso fosse dichiarato inammissibile per tardiva impugnazione dell’avviso pubblico regionale, tenuto conto che la clausola di questo che prevedeva i requisiti temporali legittimanti era inequivoca e che, comunque, il ricorrente era nella sostanza perfettamente a conoscenza dei predetti vincoli temporali, avendo sostituito nel modulo di domanda la data prestampata «entro il 31 dicembre 1995», con la seguente: «28 ottobre 1996». Nel merito, ha dedotto l’infondatezza dell’impugnativa.

3. Allo stesso modo hanno concluso la Regione Lombardia e l’A.I.F.I.

4. All’esito di ulteriori scambi di difese scritte tra le parti, nell’udienza pubblica del 15 dicembre 2015 la causa è stata trattenuta in decisione.

DIRITTO

1. Il ricorso, notificato il 27 marzo 2015, è inammissibile per tardiva impugnazione dell’avviso pubblico della Regione Lombardia, G.R. n. X/820 del 25.10.2013, pubblicato sul BURL, Serie Avvisi e Concorsi, del 30.10.2013.

Ed infatti, chiara era nella sua portata immediatamente escludente per l’interessata la previsione recata dall’art. 2 del predetto avviso pubblico (rubricato “Titoli riconoscibili”), alla stregua della quale «possono essere presi in considerazione esclusivamente i titoli rispondenti alle seguenti caratteristiche: a) devono essere stati conseguiti entro il 17 marzo 1999, ed il relativo corso formativo deve essere iniziato entro il 31 dicembre 1995» (con le date evidenziate, nella versione pubblicata, mediante l’uso di sottolineati e di grassetti).

Né tale portata poteva essere equivocata alla luce della previsione asseritamente “singolare” dell’art. 3 del medesimo avviso [comma 1, lett. g: «non sono valutabili ai fini del riconoscimento dell’equivalenza i seguenti titoli/diplomi/attestati/qualifiche comunque denominati e da chiunque rilasciati: (…) g) Titoli di massofisioterapista conseguiti dopo l’entra in vigore della legge 26 febbraio 1992, n. 42;»] tenuto conto sia dell’altrettanto chiara previsione del successivo art. 7, comma 2, lett. a) («qualora si verifichi una delle seguenti ipotesi, non verrà dato ulteriore corso all’istanza, la quale verrà dichiarata inammissibile: a) il titolo di cui si chiede l’equivalenza non sia stato conseguito entro il 17 marzo 1999 o il relativo corso formativo sia iniziato dopo il 31 dicembre 1995;»), laddove la disgiuntiva “o” implica la dichiarazione di inammissibilità (conformemente a quanto identicamente previsto dal punto 2.1., secondo capoverso, lett. a, della circolare del Ministero della salute 20 settembre 2001, prot. 0043488) al non ricorrere anche di uno solo dei due requisiti temporali, sia dello schema di domanda allegato all’avviso nel quale (cfr. pag. 1) entrambe le condizioni erano evidenziate come oggetto di dichiarazione cumulativa.

Ne consegue che la ricorrente – la quale ha addirittura sostituito nella propria domanda del 6.12.2013 la data del 31 dicembre 1995 con quella del 28 ottobre 1996 –, ben consapevole della univoca portata escludente dell’avviso pubblico sul punto, non ha impugnato per tempo tale atto, gravandolo invece tardivamente, peraltro in via subordinata, soltanto con l’odierno ricorso.

Da tanto, come detto, discende l’inammissibilità del gravame.

2. Nondimeno il Collegio ne rileva anche l’infondatezza.

In sede di riordino della disciplina in materia sanitaria a norma dell’art. 1 della legge n. 421/1992, l’art. 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, nel quadro delle nuove regole di formazione universitaria del personale sanitario infermieristico, tecnico e della riabilitazione, demandava al Ministro della sanità l’individuazione delle figure professionali da formare e dei relativi profili e disponeva che «i corsi di studio relativi alle figure professionali individuate ai sensi del presente articolo e previsti dal precedente ordinamento che non siano stati riordinati ai sensi del citato art. 9 della legge 19 novembre 1990, n. 341, sono soppressi entro due anni a decorrere dal 1° gennaio 1994, garantendo, comunque, il completamento degli studi agli studenti che si iscrivono entro il predetto termine al primo anno di corso».

In attuazione di tali disposizioni, il Ministro della sanità, con d.m. 14 settembre 1994, n. 741 (recante “Regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale del fisioterapista”) ha individuato il profilo professionale e il percorso formativo del fisioterapista. Nella sostanza, il regolamento ministeriale ha confermato che, a regime, solo il diploma universitario di fisioterapista può abilitare all’esercizio della relativa professione e, regolando in via transitoria il passaggio dal vecchio al nuovo ordinamento, ha ancora una volta ribadito che con decreto interministeriale vengono individuati i diplomi in precedenza conseguiti che possano considerarsi equipollenti al nuovo titolo universitario ai fini dell’esercizio dell’attività professionale e dell’ammissione ai pubblici concorsi.

Peraltro, non è stato posto un divieto di prosecuzione, anche oltre i termini temporali stabiliti dal d.lgs. n. 502/1992, dell’attività di formazione professionale regionale benché, ferma restando la differenza tra la formazione professionale regionale e quella statale (la quale sola è direttamente connessa all’attività di formazione culturale e scientifica realizzata in sede di istruzione superiore ed universitaria), i corsi e i diplomi regionali continuavano ad avere efficacia per le professioni sanitarie (definite “ausiliarie”) solo con utilità minori e diverse dall’abilitazione diretta alla professione stessa (cfr. C.d.S., sent. 5 agosto 2003, n. 4476, ribadita dalla sentenza 30 maggio 2011, n. 3218).

In tale quadro normativo, che nella sostanza poneva un preciso limite temporale e contenutistico all’efficacia dei corsi organizzati col precedente ordinamento, è poi intervenuta la legge 26 febbraio 1999, n. 42 (recante “Disposizioni in materia di professioni sanitarie”), che – senza produrre alcuna elisione del limite temporale sopra evidenziato – ha disciplinato per tutte le professioni sanitarie il passaggio dal vecchio ordinamento al nuovo, fondato sul previo conseguimento del diploma universitario. In particolare, l’art. 4, comma 2, della legge n. 42/99, ha completato, nell’ambito della c.d. terza riforma sanitaria, il quadro normativo sopra richiamato, ed ha sancito, ricorrendo determinate condizioni, direttamente l’equipollenza di alcuni titoli conseguiti nel vecchio ordinamento, demandando per altri ad un decreto del Ministro della sanità, di concerto con il Ministro dell’università e della ricerca scientifica, la definizione dei criteri per il riconoscimento come equivalenti ai diplomi universitari di cui all’art. 6, comma 3, d.lgs. n. 502 del 1992, ai fini dell’esercizio professionale e dell’accesso alla formazione postbase, degli ulteriori titoli acquisiti anteriormente all’emanazione dei decreti di individuazione dei profili professionali.

La disposizione, come correttamente evidenziato dall’Avvocatura Generale dello Stato, dalla chiara portata intertemporale, è stata quindi attuata con il d.P.C.m. 26 luglio 2011 il quale, recependo l’accordo stipulato tra Governo, Regioni e province autonome ex art. 4 d.lgs. n. 281/1997, ha scolpito i “Criteri e modalità per il riconoscimento dell’equivalenza ai diplomi universitari dell’area sanitaria dei titoli del pregresso ordinamento”.

Tale fonte – che costituisce l’immediato parametro per la costruzione dell’avviso pubblico in questione, uniforme per tutte le regioni – ha quindi recepito correttamente l’intero quadro normativo appena evidenziato, prevedendo – ferma restando l’equipollenza del titolo di “massofisioterapista – Corso triennale di formazione specifica (legge 19 maggio 1971, n. 403) di cui al decreto ministeriale del Ministro della Sanità di concerto con il Ministro dell’istruzione in data 27 luglio 2000 – in primo luogo e in via immediata (art. 1, comma 3, con un coerente pendant all’art. 6, comma 1, lettera g) il margine temporale ultimo di conseguimento degli altri titoli da poter prendere in considerazione ai fini dell’equipollenza, costituito dalla data di entrata in vigore della legge in attuazione n. 42/1999 (il 17 marzo 1999, appunto).

Essa ha inoltre correttamente chiarito, con una sorta di sinossi dell’intero sistema normativo in attuazione, che oltre al limite temporale connaturato all’entrata in vigore della legge n. 42/1999 (art. 5, comma 2) continua a sussistere quello del 31 dicembre 1995, derivante dalle riformate regole di formazione universitaria del personale sanitario (art. 5, comma 1).

2.1. Pertanto, alla luce della ricostruzione sistematica così operata, non può essere condivisa la prospettazione di parte ricorrente secondo cui l’art. 5 del d.P.C.m. 26 luglio 2011 avrebbe disciplinato due distinte ipotesi temporali per accedere alla procedura di equivalenza, censurando in conseguenza di contraddittorietà l’interpretazione effettuata dall’Amministrazione, tenuto conto invece della coesistenza delle due esigenze sistemiche appena rappresentate che si riflettono nella compresenza dei due termini commisurata, in via peraltro generale per tutti i relativi titoli dell’area sanitaria, tra il necessario inizio dei corsi entro il 31 dicembre 1995 e la loro teorica conclusione comunque entro il fisiologico limite temporale di entrata in vigore della legge.

Immune dai vizi di eccesso di potere e violazione di legge lamentati appare dunque il provvedimento di diniego dell’equipollenza gravato, tenuto conto della conformità del bando al quadro normativo rassegnato, in relazione al fatto che il ricorrente avesse conseguito il titolo in valutazione iscrivendosi al relativo corso dopo il 31 dicembre 1995; circostanza rispetto alla quale risultano peraltro irrilevante la censura relativa all’acquisizione, in sede di conferenza di servizi, del parere del rappresentante A.I.F.I., ed infondata quella relativa al mancato rilievo, in prima battuta da parte della Regione, del motivo di esclusione, tenuto conto che chiaramente l’art. 7, comma 7, del d.P.C.m. 26 luglio 2011 rimette alla Conferenza di valutare «le istanze sulla base dei criteri e dei parametri di cui al presente accordo».

In definitiva, il ricorso va respinto.

3. La novità e la complessità delle questioni esaminate consentono, ai sensi degli artt. 26, comma 1, c.p.a. e 92, comma 2, c.p.c., di compensare interamente le spese di lite tra le parti costituite in giudizio.